Regionali: lo stato dell’arte

La politica è materia strana. Dalle nostre parti, poi, assume contorni metafisici, addirittura inspiegabili ai più. Questione di sempre, direte voi. Certo, ma all’alba del nuovo anno torna prepotentemente d’attualità, anche perché tra poco più di due mesi si vota. Mentre per Lazio e Puglia è zuffa continua, il caso Campania sembra finito in secondo piano. Almeno agli occhi dei grandi capi delle coalizioni che propongono il bipolarismo meno perfetto del mondo.
La verità è che il centrosinistra (leggi Pd) si è imbucato da solo in un tunnel dal quale non sa come uscire, mentre il centrodestra (Pdl e Udc) non ha alcuna fretta di chiudere la partita delle candidature. In mezzo c’è Salerno, o meglio Vincenzo De Luca. Al di là delle battute sarcastiche rifilate ai compagni di partito, il sindaco rappresenta il pomo della
discordia. In un normale stato delle cose, i democratici avrebbero dovuto indicarlo subito come candidato presidente. Perché rappresenta un’esperienza di governo locale tutto sommato positiva, risponde in pieno al criterio di discontinuità tanto voluto nel Pd al momento di crocifiggere Bassolino, e perché in giro non c’è granchè di meglio. Dovrebbe bastare. E invece no, sono proprio questi gli elementi che lo condannano al ruolo di scomodo ospite.
Mal visto da chi lo etichetta come un disturbatore, rischierebbe di diventare anche in caso di sconfitta il vero faro del centrosinistra. Pur battuto, infatti, andrebbe in consiglio regionale a reggere l’opposizione. Non parliamo neanche di una eventuale vittoria che rappresenterebbe uno schiaffo insopportabile. Ecco perché il Pd campano, ma sarebbe più giusto dire “napoletano”, temporeggia sulle primarie, prende tempo e fiato nel tentativo di fiaccare il sindaco-podestà che intanto un po’ di entusiasmo lo ha già perso per strada. Numeri alla mano, i democratici sanno che il centrodestra è in vantaggio, quindi c’è bisogno di qualcuno che si immoli nel segno del sacrificio istituzionale, beccandosi però uno scranno alla Regione che il 27 del mese vale quanto uno in Parlamento. Gli indizi portano ad Amendola, il giovane segretario regionale che vorrebbe al più presto ordinare al tipografo i biglietti da visita con su scritto “onorevole”.
Potrebbe iniziare dettando la dicitura “consigliere” che è anche un po’ più lunga.
In questo minuetto, giganteggia la figura dell’attuale governatore. Antonio Bassolino è davvero di altra levatura. Ripudiato e messo all’angolo nella recente stagione del rinnovamento, il Pd adesso resta immobile pur di non contraddirlo. E lui fa politica, stringe alleanze trasversali, si cuce addosso il vestito del leader sudista parlando ai palermitani prima ancora che ai salernitani. Come era facile pronosticare, i conti nel centrosinistra si faranno con lui più che con gli altri in vista del voto. C’è chi lo vorrebbe come candidato presidente per la terza volta, ma sembra non volerne sapere. Almeno per ora.
In questa confusione che riproduce schemi e metodi di un passato mai sopito (altro che “discontinuità”) nel centrosinistra, il Pdl prova a far decantare il caso Cosentino. Il socialista Caldoro sarà l’aspirante presidente,
catalizzando l’interesse dell’Udc e di quanti nel mai appassito garofano vedono un totem più che un fiore. Mossa azzeccata, che farà proseliti anche nel Salernitano. Nel segno di una modernità apparente che sa di antico. Del resto, perché cambiare?

pubblicato su “la Città” del 10 gennaio 2010

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