Alle finestre sono attaccati dei drappi rossi. Ma non siamo al revival della festa dell’Unità. In platea anche abiti firmati e Rolex d’ordinanza. Ma tantomeno trattasi di una convention berlusconiana. Siamo a Napoli, a Bagnoli per la precisione. A un passo i reticolati di una dismessa piazza d’armi sui quali campeggia il fascio littorio. Arruginito, ma sempre d’effetto. Nel traffico si affannano bancarellari, gente che entra ed esce dai discount per risparmiare, qualche ragazzino senza casco che impenna con lo scooter. Girato l’angolo, cumuli di immondizia abbandonati sotto il ponte che una volta univa le due anime dell’Italsider, quella fredda con quella calda. Nel cuore del più grande museo naturale di archeologia industriale, si parla di futuro. Di Italia. In una scuola elementare, trasformata per l’occasione in palcoscenico. Roba da paese civile, quasi non sembra di essere in Campania. E’ qui che Luca Cordero di Montezemolo, uno dei pochi a cui il tempo sembra fare un baffo, ha scelto di ripartire. Lo fa con gli amici fidati, come Gianni Punzo, abbronzato e sempre pronto alla battuta, e Agostino Gallozzi, il mai sopra le righe presidente degli industriali salernitani. L’atmosfera non ha nulla da invidiare a Cernobbio, anche se si parla di sintassi, quaderni e bambinetti. E di insegnanti, bidelli, aule e cultura che si va a far benedire.
Con “Maestri d’Italia. Dalla parte di chi cresce gli italiani di domani” non si scrive solo un titolo, ma si tocca l’epicentro del malessere, tenendo volutamente aperti i lembi di ferite mai rimarginate, suturando senza guarire. Matura così l’idea di Montezemolo e di “Italiafutura” che non attacca nessuno, ma dice solo che così non va. Che bisogna cambiare. “Una politica che non sia schiava del consenso” e che rinunci “ad occupare pervasivamente tutti i settori della società”, ma anche “una forza tranquilla, come nelle grandi democrazie occidentali, che sia capace di imprimere la direzione di marcia al Paese e di parlare non con annunci ai quali poi spesso non viene dato seguito”. Ogni riferimento a fatti e persone non è puramente casuale.
Così come non lo è la galleria di politici e imprenditori che tastano il terreno. In platea anche Gino Nicolais, Ennio Cascetta, Tino Santangelo, Giuseppe Galasso, i salernitani Orazio Boccia, Andrea Prete, Andrea Annunziata. E poi Lettieri, Iavarone, Cimmino (Yamamay), Dino Celentano. Tutta gente che rappresenta qualcosa. E che si ritrova nei discorsi portati avanti da qualcuno che non è di destra o di sinistra. Se tutto questo non è politica, allora cos’è? La verità è che siamo al cospetto di una grande operazione che parte dalla base, dal territorio. Sorprendente per uno che fa il capitano d’industria da quando aveva i calzoni corti. La scelta del mondo della scuola, quella elementare per giunta, è pragmatica: chi è più deluso tra i delusi in questo momento? Insegnanti e affini, ovviamente. Ed ecco due proposte per loro: più soldi e gratificazioni, ma anche biblioteche e un censimento fotografico dell’edilizia scolastica, da cui trarre una mostra ed un concorso per architetti.
E poi Napoli. Nel giorno dell’investitura nel centrodestra di Caldoro ad aspirante governatore, vengono fuori le reali difficoltà di una terra che vede spostare i propri confini sempre più verso sud. “Abbiamo la sensazione di un nuovo apartheid, non solo sulla base di una discriminante razziale, ma soprattutto in termini di capacità competitiva sotto il profilo della formazione. E’ questa la battaglia da vincere: consentire a tutti di stare alla pari, senza segregazioni che di fatto, invece, esistono”. Parole che ti aspetteresti da un politico illuminato, e che invece vengono da Agostino Gallozzi. Ha ragione, perché chi cresce qui capisce subito di non poter avere le stesse opportunità riservate ad altri. E di essere privo di interlocutori, troppo occupati a girarsi dall’altra parte per curare gli interessi di pochi. Una storia che va fermata. Montezemolo vorrebbe cambiare il futuro prossimo, da qui a 5 anni. Parli con Gallozzi, si accorgerà che in Campania di tempo ne è passato fin troppo. Perderne altro sarebbe una catastrofe.
pubblicato su “la Città” del 17 gennaio 2010
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