di Angelo Di Marino
SALERNO. Sembra di andare allo stadio. Frotte di salernitani che, ombrello al braccio, scendono dai bus, lasciano l’auto a debita distanza, vanno a piedi verso l’arena. Famiglie con bambini, qualcuno addirittura culla il neonato che dorme, donne, molti giovani, diversamente abili. Ma anche sindaci, assessori, consiglieri uscenti ed aspiranti, sindacalisti, parlamentari. E’ la folla di De Luca, quella che testimonia l’affetto al sindaco-candidato nel modo più semplice del mondo. Andandolo a trovare, proprio come faresti come un amico che festeggia l’onomastico o un lieto evento. La politica c’entra poco, qui siamo al cospetto di una autentica adunata popolare.
Senza schemi, figlia legittima del contatto diretto che in questi vent’anni di governo locale De Luca ha stabilito con i suoi concittadini. E poco importa se si parla più di Napoli che di Salerno e che il sindaco declini i verbi manco fosse al commiato. Per una volta, ed era tanto tempo che ciò non accadeva, Salerno ha fatto una scelta senza retropensieri, schierandosi a prescindere e partecipando non per farsi vedere ma per abbracciare la persona che più di ogni altra ha segnato, nel bene e nel male, la piccola-grande storia di questa città negli ultimi quindici anni.
Coinvolti nell’adunata, loro malgrado, anche i calciatori del Prato che, prima della cena, si fermano ad ascoltare quell’uomo solo sul palco. Oggi giocheranno contro la Nocerina e questo ritiro non lo dimenticheranno tanto facilmente. E proprio come quando gioca la Nazionale ai mondiali, chi non entra nella sala resta a guardare la tivù nella hall o il maxi schermo all’esterno. Tutti zitti, salvo poi esultare quando c’è profumo di gol.
A qualcuno torna in mente lo storico comizio di Almirante, più realisticamente c’è chi fa il paragone con la tappa salernitana del ticket Caldoro-Carfagna. Stessa sala, giusto una settimana fa. Stavolta c’è almeno il doppio delle persone, ma soprattutto la gente è diversa. Così come, del resto, è differente il messaggio. Caldoro, anche se sarebbe più giusto parlare di Pdl, visto che nel centrodestra è la coalizione che conta, lancia un unico messaggio sostanziale: “Votate noi perché non siamo loro”. Dove loro sono Bassolino e i suoi diciotto anni di governo. A corroborare la campagna, lo slogan che fa capire come il “governo del fare” di Berlusconi sia l’unico attuabile in Campania. Insomma, assistiamo alla totale spersonalizzazione del messaggio politico, che passa solo attraverso il totem berlusconiano. Le stesse adunate sono troppo autoreferenziali, affollate sì ma di compartecipi e non di appassionati. In questo modo, poi, sembrano messi in un cantuccio i risultati ottenuti appena l’anno scorso a Salerno ed Avellino, dove Cirielli e Sibilia dimostrarono quale peso abbia il contatto diretto con il territorio in una disputa elettorale. Un patrimonio sottostimato da chi ha disegnato la campagna del centrodestra. Fa sorridere, infine, il “codice etico” sventolato in questi giorni: il Pdl è il partito guidato dall’uomo politico italiano che assomma sul suo capo procedimenti giudiziari come mai altri nel nostro Paese. E in un contesto così i problemi sarebbero Gambino e Zara?
Invece De Luca è l’esatto opposto di Caldoro. Non ha (e non vuole) partiti alle sue spalle. Ci mette la faccia e dove va si arrabbia, urla, fa smorfie. Però parla da sindaco non da governatore, come lui stesso ammette. Ma per la folla del Grand Hotel questo è un merito e non un limite. E così se ne torna a casa dopo l’omaggio, sentito e non dovuto, al dirimpettaio di sempre. Con una certezza: una speranza c’è.
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pubblicato su “la Città” del 21 febbraio 2010
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