di Angelo Di Marino
NAPOLI. Era l’esame più difficile. Vincenzo De Luca lo ha superato. Alla sua maniera, mettendoci il cuore, la grinta, la rabbia di chi non le manda mai a dire. Quarantacinque minuti in cui ha messo sotto gli occhi della folla (vera) del Plebiscito la sua idea di Campania. Sbattendo in faccia a tutti una realtà che è drammatica e che ha bisogno di un cambiamento epocale per poter trovare uno sbocco, una via d’uscita. Ma il messaggio che viene fuori dalla serata di Napoli non si limita al coraggio di affrontare un banco di prova davanti al quale era più facile rimetterci le penne che risultare vincitore. De Luca è andato oltre, parlando da vero leader e non più da sindaco. E’ la prima volta nella sua storia politica. E in quella dei democratici. E’ il vero cambiamento che questa campagna elettorale sta portando in dote ad un centrosinistra che sembra aver ritrovato una compattezza fino a poche settimane fa neanche quotata ai picchetti.
Il sindaco-candidato ha preso di petto quella che definisce “la battaglia della vita”, nel tentativo non solo di capitalizzare voti ma anche di risvegliare dal torpore un partito che non è mai nato e che stenta a scrollarsi di dosso le macerie di una frantumazione consumatasi negli anni a colpi di scissioni e lacerazioni. De Luca ieri ha ingranato la marcia ricordando come i guai del centrosinistra siano iniziati con l’affossamento di Prodi ad opera dei suoi stessi alleati: “E’ così che abbiamo consegnato il Paese nelle mani di chi sapete voi”. Continui e martellanti i riferimenti al centrodestra che, ironia della sorte, in queste ore si sta comportando da opposizione e non da maggioranza. Sì, perché è questa l’anomalia del quadro politico attuale, nel quale la figura del sindaco di Salerno si colloca come elemento dirompente, oltre che fuori dagli schemi. De Luca non rappresenta un partito, è da solo contro tutti e fa di questo la sua vera forza. Porta sotto braccio una storia che va dal ’68 agli anni di piombo, passando per Moro, Amendola, Pertini, Falcone e Borsellino. E’ la storia degli italiani, al di là delle etichette e delle casacche. Diventa per questo plastica l’immagine di un uomo che lotta e che vorrebbe costruire un futuro insieme alla sua gente. E quando si commuove nel raccontare di chi tutti i giorni prende a morsi la povertà, la malattia, il disagio, la droga, il dolore dà un calcio alla pochezza della politica, facendo venire il magone perché (purtroppo) è tutto vero.
Dal Plebiscito non esce un vincitore ma una speranza. Quella del popolo vicino a De Luca che si identifica con troppi anni di schiene piegate in nome e per conto di governi assenti e strategie latitanti. Ecco, è il Sud che vuole contare qualcosa e non vuole più aspettare precariamente seduto su qualche strapuntino traballante.
Quanto di tutto questo poi si tramuterà in reale consenso è difficile da capire. Che il sindaco-candidato sia avanti in popolarità rispetto a Caldoro questo è chiaro. Ma da qui a dire che vincerà le elezioni ne passa. Di certo, la cartolina del Plebiscito spedita agli avversari rappresenta una spallata importante, forse decisiva per De Luca. Il cui obiettivo dichiarato è quello di aver riaperto una partita che ormai sembrava chiusa. Per potersela giocare fino al novantesimo.
Non sappiamo se diventerà governatore, ma è certo che De Luca rappresenta un patrimonio per questo centrosinistra. E una spina nel fianco di Berlusconi.
pubblicato su “la Città” del 21 marzo 2010
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