di Angelo Di Marino
Indaffarati nell’interpretazione della Resistenza, è passato in secondo piano l’atto politico delle parole di Cirielli sul 25 aprile. Non potendo certo riscrivere la storia, che è lì sovrana ed indiscutibile a testimoniare il sacrificio di migliaia di partigiani in nome della liberazione dal nazifascismo, dai campi di concentramento e dalle leggi razziali, Cirielli prova invece a dettare i tempi della politica salernitana. E forse non solo di quella. Perché mettere nero su bianco in prossimità di una data “calda” come quella di oggi non è altro che la chiara volontà di esercitare una valutazione su quanto accaduto, contestualizzando il tutto rispetto all’attuale situazione del Paese. E, quindi, non siamo al cospetto di un manifesto attaccato al muro, ma di qualcosa di più. Una lettura di quanto successo in questa settimana mette in evidenza almeno tre circostanze.
La prima conferma che Berlusconi ormai è più a destra di Fini. Cirielli si riconosce nell’ala (quella più rilevante numericamente nel Pdl) che sostiene il premier, contro colui che fu il leader di An, partito da cui proviene proprio il presidente della Provincia. Che si ritrova statisticamente dalla stessa parte della Carfagna e sull’altra sponda rispetto a Bocchino. Non sono particolari da sottovalutare, in un quadro politico nel quale la difficile alleanza che sostiene il centrodestra è costretta a subire i colpi dell’unico vero esponente dell’opposizione a Berlusconi: Gianfranco Fini. Come la storia ci insegna, quando il consenso cresce, di fatto annullando chi perde, almeno sotto il profilo quantitativo, è proprio dall’interno che nasce il malcontento e, di fatto, la contrapposizione. Trasferite tutto questo da Roma a Salerno e vi renderete conto di come le parole di Cirielli, in questa come in altre occasioni, rispondano a schemi ben precisi, disegnando strategie di appartenenza che lo rendono riconoscibile sia alla contraerea che al fuoco amico. Non è mica casuale il riferimento agli americani e alla loro azione anticomunista, che per decenni ha rappresentato il filo conduttore della politica statunitense e di quella degli alleati europei, finendo per incidere pesantemente sulla guerra fredda e sugli equilibri di governo di buona parte dell’Europa occidentale, Italia compresa ovviamente. Sappiamo bene chi è l’italiano che pronuncia più spesso la parola “comunisti”. Senza ricevere alcuna risposta, essendo l’attuale politica priva ormai da anni di tali prototipi.
La seconda è che Cirielli fa politica sul territorio più di molti altri. Ha modalità d’ingaggio che sono ben note e che, di certo, sono più vicine ad un codice marziale che al manuale Cencelli. Sarà un caso anche questo, ma la ribalta che l’onorevole presidente sta avendo in occasione di questo 25 aprile è di gran lunga superiore a quella che mai avrebbe ottenuto con una qualunque azione amministrativa. D’ora in poi, statene certi, sentiremo spesso dire “manifesto alla Cirielli” oppure “la Liberazione secondo Cirielli” e via di questo passo. Il nostro è un Paese che ama questo tipo di etichette, sinonimo spesso di sovraesposizione che poi è il vero rischio che in questo caso si corre.
La terza è la trasversalità dell’azione del presidente della Provincia. Avete notato come, nel coro di dissenso che si è levato alla lettura del manifesto, manchi la voce del capo dell’opposizione in Campania? Il sindaco di Salerno tale si definisce ma, quando si tratta di Cirielli, sceglie il silenzio. Sarà che i due sono dirimpettai, sarà che sotto sotto c’è più rispetto reciproco che antipatia. Sarà che in questi giorni si decidono gli avvicendamenti ai vertici di un paio di enti controllati da sempre dai deluchiani e, di conseguenza, meglio non imbarcarsi in polemiche e lasciare le cose come stanno.
Insomma, non sappiamo quale sia la storia che Cirielli conosca meglio. Di certo quella che gli interessa di più ancora non è stata scritta.
pubblicato su “la Città” del 25 aprile 2010
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