di Angelo Di Marino
Nel week-end ha fatto da cicerone in piazza della Libertà. Ieri un’ultima raffica di inaugurazioni, tra compostaggio, parcheggi e cantieri. E oggi è il giorno della festa, del patrono. E per Vincenzo De Luca è un appuntamento atteso per un anno intero.
«Non esageriamo! Questa scadenza di San Matteo nasceva come un pretesto per sollecitare la realizzazione di opere pubbliche nel momento in cui a Salerno arrivano migliaia di persone. Oggi è tutta un’altra cosa».
Perché per lei San Matteo dura dodici mesi ormai…
«… perché l’attività dell’amministrazione dura tutto l’anno. C’è una concentrazione in questo periodo ma proseguiremo nelle prossime settimane. Sarà un’onda lunga che non si ferma».
A proposito di onde e di maree, la piazza sul mare è diventata subito motivo di curiosità.
«Io non avevo nessun dubbio e credo che stiamo realizzando una delle opere che rappresenteranno una svolta europea definitiva della nostra città. E avvieranno un processo di sprovincializzazione di Salerno. Ho sempre detto che quell’opera avrebbe cambiato l’anima della gente, dando la percezione di città europea. Sarà un grande attrattore turistico mondiale».
Con tanto di visite guidate da lei curate…
«Ho voluto portare la gente perché mi rendevo conto che era difficile spiegare, non era possibile far percepire la dimensione della piazza, la bellezza dell’inserimento ambientale, le proporzioni. E’ stato veramente un evento, ho trovato migliaia di persone che sono rimaste incantate, perché hanno avuto modo di capire che sta cambiando la storia di Salerno».
A dire il vero sta cambiando anche l’aria: di soldi in giro non sembra ce ne siano molti…
«Per questo Salerno è un miracolo nel miracolo. Non solo quello che facciamo è già di valore internazionale, come il fronte di mare che sarà il più bello d’Europa. Ma ribadisco che è un miracolo doppio, per i tempi in cui lo stiamo facendo. Non esiste da nessun’altra parte al mondo una realtà che offra una piazza come quella della Libertà già mezza fatta dopo sette mesi di cantiere».
Parla di miracoli, sente odore di santo patrono…
«E allora dico triplo miracolo per la capacità che abbiamo di utilizzazione delle risorse. Siamo tra i pochissimi in Italia che riescono a sfruttare i fondi europei utilizzandoli e non perdendoli per strada. I mutui che il Comune accende, mantenendosi nell’ambito del patto di stabilità, finanziano le opere nei quartieri. Fondi Cipe invece per Porta Ovest e Cittadella giudiziaria che sono soldi di 10 anni fa. E progetti di finanza come Marina d’Arechi. Siamo orgogliosi».
Però servono soldi. Il piano per il Sud di Berlusconi prevede 100 miliardi. Arriveranno?
«No, non ci credo. Anzi, gli sforzi che stiamo facendo rischiano di essere frustrati dalla rapina dei finanziamenti al Sud. Perché questa è stata l’unica cosa concreta che c’è stata fino ad oggi. E da una interpretazione del patto di stabilità che è tutta contabile data da Tremonti in questi due anni».
E allora cosa succederà?
«In queste condizioni noi non reggiamo, non regge la società meridionale. In Campania la Regione non paga nessuno, dai farmacisti agli enti locali, e non si trasferiscono risorse. Siamo quasi in uno stato di natura: si lavora e non si viene pagati».
Ma bisogna risanare i conti, come dice Caldoro.
«Condivido ovviamente l’obiettivo di rientrare anche in Campania nel patto di stabilità. Un conto però è bloccare tutto, un altro è la capacità amministrativa di tenere insieme rigore e sviluppo. No, non ci siamo. Ascoltiamo solo slogan».
Un esempio…
«La Banca del Sud: è stata un’altra presa in giro. L’ipotesi più plausibile è che non si muoverà una foglia».
Sei mesi fa il suo di slogan recitava “una speranza c’è”. E ora?
«Adesso è molto più affievolita quella speranza, quasi sul punto di spegnersi. Per le cose che ho già detto, l’incapacità di una politica di sviluppo e rigore, l’incapacità di investire le risorse, la disattenzione amministrativa e la non decisione sui temi dell’ambiente: stiamo perdendo mesi preziosissimi e, nel frattempo, siamo di nuovo con i rifiuti in mezzo alle strade».
Già, la monnezza. Perché ci sono altri problemi?
«Per l’idea che ancora prevale nella Regione di utilizzare la gestione dei rifiuti per fare un po’ di clientele, cosa che mantiene in piedi questo meccanismo demenziale dei rifiuti. Ho segnalato a Napolitano il pericolo drammatico di una nuova emergenza, se non ci muoviamo a fare in Campania quello che si fa altrove da anni. E cioè affidare ai singoli comuni la gestione del ciclo dei rifiuti. Siamo l’unica regione che ha questo caos amministrativo».
E la speranza, allora?
«Rischia di spegnersi, perché la sensazione che ho è che il potere contrattuale del governo regionale sia prossimo allo zero nei confronti di Tremonti. C’è un problema indubbio di peso politico».
Però lei ha ripiegato su Salerno, abbandonando lo scranno di capo dell’opposizione: paura di non poter incidere?
«Ma c’è stata sicuramente anche questa valutazione. La nostra sfida era quella di esportare il modello Salerno su scala regionale. Immaginare di avere non cento ma mille cantieri con i nostri tempi avrebbe garantito una autentica rivoluzione. Non essendoci stata quella possibilità mi sembrava ovvio non indebolire il lavoro fatto a Salerno che sarà al servizio della Campania».
Che fa, riparte con la campagna per governatore…
«Lasciare il consiglio regionale, dal punto di vista personale, è stata una scelta che mi è costata parecchio. Quando lo troveranno un altro disponibile a fare questa scelta mi dicano il nome. Non credo ce ne sia un altro».
Così come non esiste solo Salerno in Campania. Il cardinale Sepe dice che Napoli è senza pane e speranza…
«Noi dobbiamo essere preoccupati, ovviamente. Nessun uomo è un’isola, diceva Hemingway. Neanche una città può essere un’isola. Noi quello che facciamo lo facciamo con grande attenzione, con l’obiettivo di moltiplicare gli effetti di governo sul resto della regione. Stiamo surrogando anche una funzione di orientamento, di tenuta morale e democratica. Ma è chiaro che c’è un punto limite oltre il quale anche noi rischiamo di pagare il degrado generale».
Ma il Sud ha bisogno di voltare pagina…
«L’ignavia delle classi dirigenti meridionali si affronta avendo il coraggio del rigore, stabilendo un criterio di premialità e penalità: si incentiva chi lavora, si penalizza chi ruba o chi fa clientele. Ecco, questa sarebbe una risposta in grado di dare respiro a tutto il Mezzogiorno».
E invece…
«Invece siamo in un contesto nel quale la prospettiva più plausibile è la palude. A Roma qualcuno si consola perché alla fine non c’è stato nessun trauma: è una stupidaggine, la crisi sociale non è che debba assumere la forma del crollo. Ma prende la forma di un lento, inesorabile, profondo declino. Di civilità, di valori, di occasioni di lavoro. Accompagnato da un diffondersi in profondità dell’usura, della disperazione. Questo è il cammino sul quale siamo avviati come Campania, come mezzogiorno d’Italia e come Paese intero».
E intanto il Pd cosa fa?
«Difficile da dirsi. Ad oggi c’è un’assoluta inadeguatezza. Rimangono due grandi questioni assolutamente irrisolte nel partito democratico. La chiarezza programmatica: giustizia, Sud, sburocratizzazione, relazioni sindacali. Chi siamo, anzi chi è questo partito? Chi è in grado oggi di rappresentare un’identità netta e percepibile di queste cose. E il secondo punto di crisi drammatica del Pd è l’assoluta mancanza di radicamento nei territori».
Ma cosa imputa in particolare a voi democratici?
«Il continuare a essere partito di anime morte in cui non c’è relazione fra il lavoro che si fa e la capacità di rappresentanza del partito ai vari livelli. Anime morte che costituiscono un gruppo dirigente totalmente non credibile».
Insomma, non c’è chi fa opposizione…
«E come altro si può spiegare che davanti ad una crisi drammatica del centrodestra, il Pd non riesce a schiodarsi dal suo 25 per cento. Perfino problemi di comunicazione politica, siamo alla preistoria. Bersani deve cancellare l’espressione “difendere la ditta”, sarebbe bene che si avvicinasse al linguaggio dei contemporanei. Ecco una delle prime misure della rinascita del Pd sarebbe la flagellazione dei suoi responsabili della comunicazione».
intervista pubblicata su “la Città” del 21 settembre 2010
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