di Angelo Di Marino
Il presidente del Consiglio ha svelato la sua strategia per il Sud. Lo ha fatto prima davanti agli onorevoli, poi arringando i senatori nel tentativo (riuscito) di ottenere la fiducia dopo lo strappo di Fini. Ha tirato fuori dal cilindro, un po’ ammaccato in verità, tre classici che non tramontano mai, come le canzoni di Frank Sinatra: la Salerno-Reggio, l’Alta velocità e il ponte sullo Stretto. E’ evidente che le proporzioni tra politica e realtà ancora una volta sono saltate. A tutto danno della gente, per la precisione di noi meridionali e campani in particolar modo. Forse siamo al cospetto di un altro manifesto elettorale da piazzare in ogni dove a Napoli come a Salerno, a Cosenza quanto a Palermo. Già ci sembra di vederli, con tanto di foto dei treni che sfrecciano verso l’ignoto, delle auto che scavallano il mare come a Brooklyn e dei camionisti sorridenti che pagano il pedaggio per andare da Buonabitacolo a Lauria. Dietro la facciata il nulla, si dirà. E sotto i manifesti, almeno a Napoli, di sicuro la monnezza. Perché questa è la realtà ed è su questo che il Sud vorrebbe delle risposte, se non delle certezze.
Ipotizzare opere faraoniche, in una fase così fortemente congiunturale quale si sta confermando quella che stiamo attraversando, è davvero esercizio da fachiri della politica. Sapete da quanto tempo si parla dei cantieri sulla Salerno-Reggio? Da trent’anni e più, lungo i quali continuano a snodarsi storie drammatiche fatte di morti bianche, attentati, estorsioni, arresti, incidenti stradali, polemiche, veleni. Per carità, molto è stato fatto e, probabilmente, prima o poi vedremo chiudere anche qualche cantiere. Ma resta forte e sinistro l’accostamento tra l’autostrada ed il rilancio del Mezzogiorno.
Per non parlare delle nuove grandi opere. Tutte rigorosamente da appaltare, con costi record da gestire in prima persona, quindi moltiplicando in maniera esponenziale il rischio. E da affidare, poi, a chi per un decennio e più dovrà essere l’interlocutore unico sul territorio per la realizzazione del ponte come del treno super veloce. Tutto questo sembra fantascienza, anzi film dell’orrore.
E non perché non si possa fare. Ma perché farlo così potrebbe rappresentare un segnale preoccupante, visto il profondo disagio sociale che il nostro Sud attraversa.
Insomma, da sempre sappiamo che camorra, mafia e ndrangheta non aspettano altro che maxi lotti e mega appalti per fare i loro affari. E la soluzione per il meridione sarebbe giusto quella di riaprire un fronte fatalmente vulnerabile e appetibile per il malaffare?
Balza all’occhio anche un’altra stranezza. Quando un milanese parla del Sud è quasi sempre per descriverne il mare, uno dei pochi dati certi di cui disponiamo. Lecito pensare, quindi, ad uno sviluppo dei collegamenti marittimi che, tra l’altro, sono quelli che maggiormente ci mettono in competizione con il resto del bacino mediterraneo. Siamo regioni che hanno sbocchi costieri come nessun’altra in Europa, eppure non c’è nessuno che pensi a potenziare i porti, dragare i fondali, organizzare e declinare l’infrastrutturazione verso il mare e non bucando i monti. Anzi, si ipotizza di far andare su e giù milioni di viaggiatori su ferrovie supersoniche e migliaia di tir sui viadotti dell’A3 e tra Scilla e Cariddi. La verità è che noi meridionali crediamo che il futuro faccia rotta verso Sud. L’amara lettura della storia e del presente ci conferma invece che viaggia verso Nord. Proprio come i camion e i treni supersonici che prevedono biglietti di sola andata. Almeno per noi.
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pubblicato su “la Città” del 3 ottobre 2010
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