Arriva il 2011 in Campania: aspettando l’anno buono

di Angelo Di Marino
Una cosa è certa: nel 2011 campare in Italia costerà 1016 euro in più. Due milioni delle vecchie lire. E’ l’ennesima beffa, oltre che la fotografia amara di una realtà che è talmente evidente da passare inosservata agli occhi di chi dovrebbe governarci. Inutile dire che quei mille euro da noi saranno di più e, comunque, si trasformeranno in fardello pesante da caricare sulle già curve spalle del Sud. Del resto gli esempi si sprecano. Da domani, come augurio di buon anno, le Autostrade Meridionali (anche il nome ha il sapore della presa in giro) aumenteranno il pedaggio sull’A3, la Salerno-Napoli. Si passa da 1.60 a 2 euro tondi per percorrere l’intera tratta, ma anche per andare da Angri a Nocera o da Cava a Salerno. Se avete il telepass, offerto come un saldo di fine stagione, parteciperete invece al frazionamento del prezzo. Unici al mondo, sulla bretella d’asfalto più trafficata della Campania avremo due pedaggi diversi per la stessa distanza. Una forma di emarginazione, nei confronti di chi non ha la macchinetta da azzeccare al parabrezza, che grida vendetta.
Ma in che razza di Paese viviamo? Ce lo spieghi qualcuno una buona volta e per tutte. Se è giusto pagare per viaggiare in autostrada, perché devono esistere due pesi e due misure? Dove sta scritto che gli automobilisti salernitani, perché è di quelli che stiamo parlando, devono pagare di più per spostarsi?
In un Paese civile, chi non può spendere per viaggiare in auto può fare affidamento sui mezzi pubblici. Anche qui casca l’asino, che tra poco sarà l’unico mezzo di locomozione che potremo permetterci. Da gennaio costerà di più il biglietto dell’autobus, così come quello di treni regionali e metropolitane, a fronte di tagli pesanti sul numero di mezzi in circolazione. Pagheremo di più e resteremo come i fessi alle pensiline, aspettando il doppio del tempo rispetto ad ora.
Ecco, mettete solo questi pezzi insieme e vi accorgerete di essere su un altro pianeta. Quello sbagliato. Nell’ora della speranza, tra cenoni e fuochi d’artificio, risulta difficile pensare con fiducia all’anno che stiamo per accogliere.
Così come è drammatico il bilancio che siamo costretti a fare del 2010 che lascia più macerie che fondamenta, oltre ad un interminabile elenco di cose incompiute, non fatte o fatte talmente male che era meglio non farle. La politica del gambero qui da noi è l’unica che tiene il passo e che ci permette di precipitare a marcia indietro. La Campania insomma altro non è che lo specchio della malapolitica che gestisce il potere ma non il Paese, finendo per interessarsi solo degli affari propri e non di quelli degli italiani. Diciamola tutta: siamo delusi, perché abbiamo capito che nella nostra regione tutto è fermo, paralizzato in nome e per conto di una crisi che da noi è patologica.
L’esempio viene dai rifiuti che travolgono Napoli ma non risparmiano la nostra provincia. Anzi, a Salerno si sta consumando lo strappo più virulento tra fazioni, contrapposte e l’una contro l’altra armate in nome del termovalorizzatore. I contendenti sono ormai alle querele e i toni non hanno nulla da invidiare a un trivio. In questa baraonda, poniamo una sola domanda: se l’inceneritore serve davvero, perché sin dal primo momento è diventato oggetto di spartizione? Da un lato c’è un sindaco (De Luca) prima nominato commissario, poi evocato come esempio dallo stesso Berlusconi e poi relegato in un cantuccio, dall’altro c’è un presidente di Provincia (Cirielli) che è legittimato ad appaltare e a curare la realizzazione dell’impianto. Vista con buon senso hanno ragione entrambi e, sempre guardandola dall’esterno (meno male per noi), sarebbe più giusto collaborare nell’unico e sovrano interesse della salute pubblica. Forse ci vorrebbe un arbitro (Caldoro?), ma di questi tempi meglio lavarsene le mani e lasciare che la cosa finisca in tribunale a colpi di carte bollate, ricorsi, insulti reciproci e chissà ancora cosa. Inutile dire che la monnezza è sempre lì e che, più prima che poi, anche quella di Napoli finirà in qualche discarica salernitana.
Tutto questo è la politica che accompagna le giornate sempre più buie del nostro Paese. Ed è quella contro la quale ha puntato il dito Antonio Vassallo, il figlio del sindaco di Pollica ucciso il 5 settembre. “Mio padre è stato scoperto da morto, mentre poteva dare una mano a questa regione in cui i buoni politici scarseggiano”, ha detto l’altra sera inaugurando una sezione di partito intitolata al sindaco-pescatore. Ha ragione. Non una ma mille volte. Le sue parole sono la più grande sconfitta per chi crede di fare politica per mestiere. E non perché sgorgate in un impeto di rabbia, peraltro pienamente plausibile viste le circostanze. Ma perché sono le frasi di un giovane di vent’anni che ha già capito tutto. E che vede il suo futuro nelle mani di chi sa declinare i verbi al singolare e mai al plurale.
Auguri a tutti.
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pubblicato su “la Città” del 31 dicembre 2010

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