di Angelo Di Marino
SALERNO. De Luca ha vinto ancora, anzi ha stravinto. Un anno dopo la sconfitta alle Regionali, maturata prima nell’area a lui affine che in quella avversa, conquista il suo quarto mandato da sindaco. Un record. Avversari stracciati, in quello che possiamo tranquillamente considerare un referendum sulle cose fatte dal sindaco in questi 18 anni.
E’ evidente, perché lo dicono i numeri, che ai salernitani questa città piace proprio così. E credono che possa migliorare se a tirare le briglie continuerà ad essere De Luca. Una cosa è certa: i detrattori del primo cittadino ne possono contestare la longevità politica e amministrativa, così come alcune scelte compiute in ambito urbanistico, ma mai potrebbero imputargli l’immobilismo istituzionale ed operativo. Alla fine è questo che maggiormente incide su una comunità che si confronta quotidianamente con piccoli ma importanti problemi, che rendono più o meno vivibile un territorio.
Alcuni dei candidati che gli si sono opposti hanno sottolineato come De Luca enfatizzi anche e soprattutto l’inaugurazione di un marciapiedi anzichè di una rotonda, di una fila di lampioni quanto di una spazzatrice meccanica. E invece, alla luce dei risultati, è proprio questo che maggiormente colpisce l’immaginario collettivo. Perché chi vede materialmente, dall’oggi al domani, la possibilità di camminare su un marciapiedi illuminato e non più lungo un budello buio fa due più due e ci abbina la faccia del sindaco mentre, con aria marziale, declama pregi e difetti delle riggiole e delle caditoie, manco fossero versetti in rima.
Un amministratore pubblico è esattamente questo. Anche se De Luca interpreta il ruolo a modo suo, il che lo rende affidabile agli occhi della gente ma mai “amico” o “simpatico”, anzi. Ed è una matrice che accomunava i protagonisti della cosiddetta “stagione dei sindaci”, di cui De Luca è l’unico superstite. I modi ruvidi di Bassolino e di Enzo Bianco, così come quelli di Leoluca Orlando e Sergio Chiamparino rappresentano ancora oggi l’unica vera base popolare su cui il centrosinistra abbia saputo realizzare un’aggregazione di governo. Costruita sui successi amministrativi nelle singole città e condivisa a livello nazionale negli anni duri dell’entrata in Europa. Patrimonio svilito dalla malagestione successiva.
De Luca, che più o meno in quegli anni diventò parlamentare non potendo fare il sindaco per la terza volta di seguito, deve probabilmente al carattere “solitario” la sua salvezza, continuando a ragionare in termini esclusivamente salernocentrici rispetto alle sue prospettive politiche. Quello che è il suo vero limite, si è trasformato in virtù.
I cinque anni che lo aspettano, però, saranno i più difficili. E non solo perché dovrà alimentare il suo “sistema” di governo che prevede la realizzazione di grandi opere quali piazza della Libertà e Crescent, così come il mantenimento di un cartellone di valore assoluto al teatro Verdi e la messa in servizio della ormai famigerata metropolitana che la Regione (prima con Bassolino e ora con Caldoro) non ritiene sia una priorità. E’ ancor più difficile quanto dovrà costruire De Luca: una vera classe dirigente per questa città, capace di confrontarsi più che con il “mostro sacro” con le esigenze di un territorio che sarà anche “isola felice” come la chiama il sindaco, ma che non è avulso dal Sud e dal resto di un Paese fratturato in orizzontale e visibilmente attardato rispetto all’Occidente. I (pochi) tentativi avviati in passato non hanno portato che a lacerazioni, prima sul piano personale e poi su quello politico. De Luca non è il tipo che divide et impera, figura particolarmente diffusa nel panorama correntistico nostrano, ma non è granchè capace di fare squadra, nel senso sportivo della definizione. Lui vince (o perde) da solo. Una modalità che, peraltro, nel corso degli anni non ha impedito di forgiare una ristretta squadra di assessori che potrebbe però non rappresentare il futuro prossimo che ha in mente De Luca per Salerno.
Cinque anni quelli a venire che vedranno affluire sempre meno risorse verso Sud, a meno di cambiamenti sostanziali al governo del Paese. Sta nelle cose che De Luca sia più che pronto per ruoli di caratura regionale o nazionale (governatore o ministro), pur restando ai margini delle partite a scacchi che sigle e schieramenti continuano a fare. Il centrosinistra potrebbe, dopo anni di sterili diatribe, comprendere che questo sessantenne burbero e sbrigativo è una delle poche risorse di cui dispone nel Paese, oltre a rappresentare un patrimonio elettorale senza paragoni. In fondo, non è mai troppo tardi.
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pubblicato su “la Città” del 17 maggio 2011
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