di Angelo Di Marino
Un ronzio. Insistente, fastidioso, assordante. E’ quello che si alza dalla Salerno “contro”, quella a cui non piace il Crescent quanto la “S” di Vignelli e che non riesce a mandar giù i soldi spesi per le Luci e le invettive alle Chiancarelle. E il brusio ha raggiunto finanche le auguste orecchie del sindaco che, negli ultimi giorni, si è sentito in dovere di rispondere o, comunque, di puntualizzare a più riprese sulle questioni appena elencate. Difendendo il logo, brandendo le putrelle di piazza della Libertà, rintuzzando i “Figli delle Chiancarelle”, le sorelle di “Striscia la Notizia” e le polemiche di qualche consigliere comunale, il sindaco come al solito procede come uno schiacciasassi, concedendo appena qualche correzione in corso d’opera, ma giusto per non esasperare gli animi sotto Natale. Il ronzio, insomma, potrebbe essere liquidato come l’estemporaneo sussulto di uno sparuto manipolo di masanielli senza futuro. Invece no, sono davvero in tanti a non gradire le ultime mosse di De Luca, come testimoniano le centinaia di post su Facebook e le reiterate proteste diffuse attraverso la Rete e non solo.
Ma perché i salernitani si rizelano? Solo pochi mesi fa, chiamati a votare la fiducia quinquennale al primo cittadino, hanno approvato plebiscitariamente il programma strategico con cui il sindaco intende plasmare la città. Per la quarta volta in diciotto anni, i salernitani hanno consegnato il loro futuro nelle mani di De Luca, senza riserve visto il risultato delle urne che non lascia dubbio alcuno sull’interpretazione della volontà popolare. E non è che le idee del sindaco fossero segrete: non c’è stato comizio, incontro privato, appuntamento pubblico, occasione istituzionale, momento conviviale, platea televisiva in cui il candidato sicuro di vincere non snocciolasse piani, misure, cubature, diagonali, lampadine, slogan, progetti. Facendo delle elezioni comunali un referendum sul Crescent e sulle opere da appaltare, più che un confronto democratico attraverso il quale scegliere il sindaco di Salerno.
Eppure è da molto prima delle elezioni che una buona fetta di salernitani storceva il naso quando gli si accennava del Crescent. E già l’anno scorso ci si chiedeva nella “vasca” del Corso quanti soldi costavano (e costano) le Luci d’artista. Per non parlare dei mugugni per le strisce blu in centro, le tariffe troppo alte della sosta, il baccano dei locali della movida ed i tavolini sui marciapiedi. La stragrande maggioranza di costoro dov’erano al momento delle elezioni? Forse caldeggiavano qualche amico candidato consigliere, anche del centrodestra, premettendo che “per il sindaco votate pure De Luca”. Oppure a San Matteo rispolveravano il sorriso dei giorni migliori al passaggio del sindaco e del patrono, salvo poi girarsi e riprendere a borbottare. O ancora assistevano estasiati alle passeggiate domenicali lungo la nascente piazza della Libertà, spellandosi le mani alle spiegazioni da autentico capocantiere del primo cittadino, ritrovandosi poco dopo nel salotto buono di casa a bollare come kitsch l’annunciata colata di cemento a Santa Teresa.
E’ la solita ipocrisia, insomma. Sulla quale è fin troppo facile costruire successi e consensi per chi, come De Luca, conosce meglio di tutti dinamiche e protagonisti di questa Salerno. Ma è anche il peggior modo per ancorare una città al suo provincialismo, frustrando sul nascere i (pochi) tentativi di sdoganare Salerno. E non basterà certo una “S” per garantirci un posto d’onore in Europa e nel Mondo. Per quello serve un’altra mentalità, altro che logo.
pubblicato su “la Città” dell’11 dicembre 2011
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