Si sarebbe potuto organizzare anche in provincia di Salerno – a Eboli per la precisione, nella villa-quartier generale del clan Maiale, ora confiscata – quel “Festival a casa del boss” di cui racconta Pietro Nardiello nel suo libro presentato al Punto Einaudi di piazzetta Barracano a Salerno. Ma la manifestazione, nata nel 2008 grazie all’impegno del comitato “Don Peppe Diana” che con il Festival dell’impegno civile è riuscito a riempire di musica, teatro e dibattiti le stanze e i giardini in cui i boss del casertano pianificavano crimini, non è riuscita ad arrivare nel nostro territorio. Benchè, malgrado le apparenze, in esso ve ne sia reale necessità. “Perchè Salerno, e la sua provincia, non sono isole felici – ha affermato Annamaria Torre, figlia del sindaco di Pagani Marcello, assassinato nel 1980 e ospite dell’incontro moderato dal direttore de “la Città” Angelo di Marino – in quanto laddove non si spara si collude”. Il libro racconta della genesi del Festival che, partito da Casal di Principe, negli anni ha toccato vari punti nevralgici dell’hinterland casertano. Il volume, edito da Phoebus, i cui proventi saranno utilizzati per creare un ristorante della legalità a Scampia, si arricchisce di sette interviste: Francesca Ghidini si interfaccia con Lello Magi, Maria Grazia Poggiagliolmi con Peppe Barra, Stefano Corradino con Cafiero De Raho, Vito Faenza intervista Isaia Sales, Armida Parisi intervista don Aniello Manganiello, Michela Monti fa lo stesso con Antonietta Rozera e Valeria Palumbo, infine, inscena un dialogo immaginario con don Peppe Diana, ucciso dalla camorra. Quello che l’autore ha sottolineato più di una volta è la necessità di spazzare via questa classe politica per far ritornare la legalità nelle nostre città, nei nostri paesi violentati dalla malavita organizzata, Torre ha invece affermato che “lo schiaffo più violento che si possa dare ai malavitosi è la confisca dei loro beni per riconsegnarli alla società civile”. E il festival in questione cerca di dare il proprio contributo in questo.
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