di Angelo Di Marino
Salerno si interroga. Lo fa a modo suo, a mezza bocca e con la mano davanti ai denti come fa Cassano per non farsi leggere il labiale dalle telecamere. Il quesito che illumina il chiacchiericcio borghese di questa città riguarda, manco a dirlo, Vincenzo De Luca. Cosa farà il sindaco-patrono? Si candiderà al Senato? Lo faranno ministro? Andrà col Pd di Bersani anche se vincerà Renzi? Domande che non hanno risposte, avendo il diretto interessato un suo modo ben preciso di affrontare certi argomenti: non li affronta, e basta. Ecco perché l’esegesi del suo pensiero politico diventa esercizio soggettivo e al tempo stesso inopinabile almeno fino a prova contraria.
I salernitani, a differenza del 2010 quando De Luca si imbarcò nella corsa a governatore della Campania, non nutrono alcun tipo di timore rispetto ad un possibile abbandono del sindaco. Sanno che resterebbe comunque, anche se seduto altrove. Semmai soffrono facendo le vasche sul Corso o prendendo l’aperitivo con vista sul mare perché vorrebbero sapere chi sarà il prescelto, l’unto dal Signore nella successione dinastica al soglio municipale.
E lì il gioco, il chiacchiericcio si fanno seri. Si va dall’eterno Bonavitacola che celebra i vent’anni dalla prima investitura in pectore a sindaco, tutte poi rigorosamente mai andate in porto (e non certo per colpa sua), ad Enzo Napoli, fedelissimo già curatore di Salerno Mobilità e in ulteriore ascesa nella personalissima classifica di gradimento che il sindaco conserva nel cassetto.
Ipotesi più fantasiose vorrebbero una donna seduta al posto di De Luca oppure un parente stretto, mentre qualcuno bofonchia nomi di retroguardia ma solo per confondere le idee agli avversari nel gioco salottiero più in voga del momento. Salerno è fatta così: prova gusto a costruire e distruggere miti, esaltandosi e abbattendosi in un battito di ciglia.
Pronostici a parte, un paio di circostanze sembrano sicure. De Luca ha riunito di recente il gruppo ristretto dei fedelissimi, annunciando la strategia dei mesi prossimi, quelli che portano alle elezioni. E poi questa potrebbe davvero essere l’ultima occasione per cavalcare la cresta dell’onda, sperando di non finire sotto e bere acqua salata.
Fin qui la Salerno che chiacchiera senza parlare, vociando con perizia per non alzare la voce. Non è sparuta minoranza, ma sta perdendo pezzi. In molti salotti le poltrone buone sono finite all’incanto, come qualche dipinto prezioso e un po’ di metri quadri sparsi lungo le due coste. In questo caso il dibattito affronta la crisi, le difficoltà nel tenere alzate le saracinesche, pagare gli operai e consegnare la merce che nessuno vuole e in pochi pagano. Per chi non se ne fosse accorto, nei primi sei mesi di quest’anno sono scomparse quasi mille ditte (956 per la precisione), così come ci ha informato la Camera di Commercio in settimana. Percorrendo da Fuorni a Torrione l’unica strada che collega con il centro, si individuano decine di negozi chiusi e di cartelli “fittasi”, a testimonianza di una mortalità aziendale senza precedenti.
Dietro quei cartelli e quelle saracinesche inesorabilmente abbassate si nascondono le storie di tanti salernitani che adesso hanno ben altri interrogativi da porsi. Anzi, una domanda ce l’hanno e vorrebbero proprio farla al sindaco-patrono: ma dove sta la Salerno ricca e opulenta di cui continua a parlare?
Nella settimana di San Matteo, fatta di tante inaugurazioni quante sono le ore del giorno, dovrebbe essere forse questa la riflessione da fare nei salotti borghesi. Ma Salerno, si sa, ha doppia faccia e anche due modi di intendere la realtà. Uno di comodo, da portare in processione quando si applaude il santo che sfila tra due ali di folla, e un altro rigorosamente privato, da non svelare mai per evitare grane.
E continuando a parlare di Europa, miliardi di euro, strade e piazze come se piovesse manna dal cielo, De Luca a modo suo la risposta su cosa farà forse ce l’ha già data. Guarda oltre e non più da visionario bensì da politico scafato quale è. Consapevole che la campagna elettorale è sempre aperta. E che nel suo caso dura da vent’anni.
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pubblicato su “la Città” del 16 settembre 2012
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