Il 2015 è stato l’anno dei rifugiati. Mesi fatti di esodi, traversate, naufragi. E di discussioni, spaccature, muri, ripicche con i governi europei in bilico tra solidarietà e consenso interno. Protagonista la disperazione delle persone in fuga dalla guerra e dalla fame di un Sud del mondo che non solo geograficamente è vicino, vicinissimo a noi.
Nella settimana di Natale circa 3mila migranti sono approdati sulle coste italiane. Sono oltre 151mila gli stranieri che hanno raggiunto lo Stivale via mare nei dodici mesi dell’anno appena trascorso. Quasi un milione, 991.424 per la precisione, i migranti che hanno raggiunto l’Europa nel 2015 e l’84% di loro proviene dai 10 paesi che producono più rifugiati al mondo: Siria, Afghanistan, Iraq ed Eritrea in testa.
C’è come al solito l’Italia nella bussola dei migranti che usano il Belpaese in buona parte come ponte verso il Nord Europa, sono i cosiddetti “transitanti”. Chi resta qui non se la passa certo bene. Secondo l’Istat, il 57% dei 2,3 milioni di stranieri occupati in Italia – giunti con ogni mezzo, non solo via mare – sono venuti per cercare lavoro. Hanno pagato la crisi molto più degli altri: il loro tasso di occupazione, infatti, si è contratto quasi del doppio dei punti (il 6,3% contro il 3,3% degli italiani). Uno su tre svolge un lavoro poco qualificato rispetto alle proprie competenze professionali, come accade per l’11% dei nati in Italia. Sul fronte della ricerca dell’impiego, tuttavia, si mostrano del tutto calati nelle cattive abitudini locali: quasi il 60%, infatti, trova un’occupazione grazie a una rete informale di conoscenze.
Sono numeri di una crisi. Eppure proprio la grande ondata dei rifugiati in fuga dall’oriente in guerra avrà un impatto “limitato ma positivo” sulla crescita della zona dell’euro, in particolare in alcuni Paesi. Lo anticipa Roberta Carlini, condirettrice di pagina99, periodico di politica economica, che evidenzia come “gli eventi che vanno a smentire le previsioni degli economisti sono spesso extraeconomici. In fine di 2015, sono state proprio la crisi dei rifugiati e l’attacco terroristico su Parigi (quest’ultimo, ovviamente, in senso negativo) a far rivedere piani e percentuali”.
Sembra una parabola più che una cronaca. Il Sud che salva il Nord, la parte povera del mondo che diventa ricchezza per l’Occidente, i diseredati che si trasformano in risorsa per Paesi ancora invischiati con le ruote motrici nel pantano della crisi. Un meridione che, almeno in Italia, continua di fatto a non godere di alcuna politica premiante. Eppure tutti certificano che la ripresa del Paese non può prescindere dal riallineamento del Sud. Che però non viene visto come ingranaggio propulsivo del motore-Italia, bensì assimilato a serbatoio da cui attingere voti non certo energia. Lo dimostrano i provvedimenti che affiorano dalla legge di Stabilità. In pratica delle temporanee agevolazioni fiscali per imprese che investono, non si sa bene con che fondi e quali prospettive.
E come scrive sull’Huffington Post versione italiana Nello Musumeci, Presidente della Commissione Antimafia dell’Assemblea Regionale Siciliana, “Ha un problema con il Sud, questo primo ministro, che evita persino di farsi fotografare con alcuni suoi dirigenti… Che, si dice, lo imbarazzino molto. Vuole i loro voti, non i loro volti!”.
La speranza quindi è che il nostro Sud torni ad essere protagonista, magari prescindendo dalla politica. La nostra storia è sempre partita dal basso, dalla base. Ancora una volta la forza del Mezzogiorno potrebbe essere la sua gente, a patto che non la si lasci ai margini del recinto o la si faccia fuggire. Bisogna credere nel Sud. Ed i primi a crederci dobbiamo essere noi.
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Editoriale andato in onda su Radio Alfa il 3 gennaio 2016
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