Negli Stati Uniti febbraio è il Black History Month, mese in cui si celebrano gli eventi e i protagonisti della diaspora afroamericana: la schiavitù e la sua abolizione, le lotte per i diritti civili e i suoi più grandi leader.
Per l’occasione, il New York Times ha ripescato dai suoi archivi centinaia di foto inedite della lotta afroamericana, fino ad oggi relegate nei bassifondi della storia, forse perché all’epoca, ritraendo persone di colore, non erano considerate rilevanti, non avrebbero fatto notizia. Partendo dal raduno di migliaia di afroamericani davanti al Lincoln Memorial nella capitale sei anni prima della Marcia su Washington, quella durante la quale Martin Luther King pronunciò il famoso discorso “I have a dream”, fino ad arrivare alla foto della casa appena bombardata di Malcolm X.
Sono Entrambi leader del movimento nero, da sempre considerate figure contrapposte: Malcolm X veniva definito «l’odio che ha prodotto l’odio»; Martin Luther King era il «profeta dell’uguaglianza».
King apparteneva alla piccola borghesia nera di Atlanta, mentre Malcolm faceva parte delle masse povere, e fu proprio la vicinanza agli strati più umili della comunità nera a permettergli di coinvolgere maggiormente le masse.
Diversa era la visione dell’America e i metodi proposti per affrontare il “problema nero”
In Martin Luther King il coraggio di lottare per l’eguaglianza dei diritti dei neri nasceva dalla fede cristiana; da questa, tuttavia, King trasse anche la convinzione che i mezzi e i fini di una battaglia politica e sociale dovessero sempre essere strettamente coerenti fra loro. Pertanto, rifiutò sempre la violenza come strumento di lotta: un’emancipazione nera che avesse fatto uso della violenza, a suo parere, non avrebbe mai potuto generare una pacifica convivenza coi bianchi, ma solo lasciarsi dietro una lunga scia di odio e di sangue.
L’azione non violenta si basava sulla convinzione per cui tale metodo smuoverebbe la coscienza degli uomini, e sarebbe anche l’unico mezzo coerente con la fede e la morale cristiana.
Credeva fortemente nelle istituzioni americane, e nei valori da esse espressi. Riteneva che il razzismo fosse semplicemente un “male morale” diffuso nella società americana. La soluzione di King consisteva nell’integrazione delle due comunità e nel riconoscimento dei diritti civili dei neri.
Malcolm X, un intellettuale radicale, che nella prima parte della sua esistenza, era stato un giovane delinquente dedito allo sfruttamento delle prostitute e allo spaccio degli stupefacenti, fu incarcerato per rapina e conobbe in prigione la dottrina dei seguaci di Elijah Muhammad, detta la Nazione dell’Islam, si convertì a essa e ne divenne ben presto il principale propagatore. Malcolm X non credeva nel Sogno di King: lo definiva l’Incubo americano. Il problema del razzismo in America non era solo esito di ignoranza, ma era uno strumento ideologico necessario al mantenimento del sistema di oppressione esercitato sulla comunità nera, legittimato dall’idea che gli afroamericani fossero «cittadini di serie B».
Il mondo bianco era irrimediabilmente permeato dal razzismo e incapace di cambiare; l’integrazione in questo mondo era una meta illusoria: i bianchi avrebbero sempre rifiutato i neri, i quali, quindi, avrebbero dovuto separarsi dai «diavoli dagli occhi azzurri», costruire un loro stato, che non avesse più nulla in comune con quello dei bianchi. La soluzione non aveva nulla a che fare con un’opera di moralizzazione, ma con una modificazione delle radici del sistema americano, basato sull’esistenza di “alcune superiorità ed inferiorità implicite”.
Malcolm propose l’autodifesa (un metodo basato sulla moralità poteva solo funzionare in un sistema morale), legittimata dal diritto alla vita, sancito proprio dalla Costituzione degli Stati Uniti. Il leader non incitava alla violenza, ma aspre erano le critiche al metodo non violento di King, basato su precetti morali e religiosi e sul presupposto che un profondo cambiamento etico avrebbe curato la società americana.
Negli ultimi anni alcuni studiosi hanno ipotizzato che le posizioni ideologiche di Malcolm X e Martin Luther King si fossero avvicinate sul finire delle loro vite
King negli ultimi anni di vita si avvicinò alle posizioni di Malcolm sul razzismo come giustificazione dello sfruttamento economico,politico e sociale a cui è sottoposta la comunità nera, mentre Malcolm X superò i dogmi della Nazione dell’Islam, ridimensionando l’ostilità nei confronti della comunità bianca: “I diritti umani sono qualcosa che avete dalla nascita. I diritti umani vi sono dati da Dio. I diritti umani sono quelli che tutte le nazioni della Terra riconoscono. In passato, è vero, ho condannato in modo generale tutti i bianchi. Non sarò mai più colpevole di questo errore; perché adesso so che alcuni bianchi sono davvero sinceri, che alcuni sono davvero capaci di essere fraterni con un nero. Il vero Islam mi ha mostrato che una condanna di tutti i bianchi è tanto sbagliata quanto la condanna di tutti i neri da parte dei bianchi”.
Martin Luther King, tuttavia, non smise mai di sentirsi prima “cittadino americano” e poi “nero” e di intendere la sua lotta politica come strumento per la conquista di diritti civili , né abbandonò mai il metodo non violento o le dottrine cristiane.
Malcolm restò convinto che l’autodifesa fosse un diritto fondamentale e continuò a sentirsi più “nero” che “cittadino americano”, pur aprendosi, nell’ultima parte della sua vita, alla concezione dei diritti umani a prescindere dal colore della pelle.
Martin Luther King e Malcolm X simboleggiano la ricerca dell’uguaglianza e della non discriminazione che stanno alla base del sogno americano e di quello umano.
Martin Luther King venne ucciso con un solo colpo di fucile alla testa, che raggiunse il secondo piano del motel dove alloggiava a Memphis nel 1968, tre anni dopo la morte di Malcolm X, ucciso da sette colpi di pistola durante un discorso pubblico, dopo essere sopravvissuto a un attentato dinamitardo contro la sua abitazione, proprio quello fotografato e pubblicato solo ora, più di cinquant’anni dopo.
Tuttavia, sebbene il razzismo bianco non si fosse affievolito, la battaglia per l’integrazione dei neri condotta dai due leader poté dirsi vinta. Fu concesso a migliaia di neri di fare carriera in campo amministrativo, militare o anche politico, essendo stata resa effettiva la cittadinanza degli afroamericani.
Il 6 agosto 1965 si concludeva, quindi, la lunga storia di una discriminazione iniziata con la schiavitù: il Congresso votava una legge che eliminava la differenza razziale tra bianchi e neri, e di conseguenza il privilegio che il bianco aveva costruito su di essa, ma a godere dei diritti era solo la media borghesia, mentre il proletariato, relegato nei ghetti, viveva spesso in condizioni di miseria e disoccupazione.
In occasione del mese della storia nera (mese in cui cade il compleanno di Lincoln, a cui si deve l’abolizione della schiavitù e il riconoscimento di molti diritti) il New York Times ha annunciato l’Unpublished Black History, un progetto che prevede la pubblicazione ogni giorno di fotografie legate alla storia degli afroamericani, sepolta negli archivi dai pregiudizi.
Facendo luce su storie mai raccontate e su altre ormai dimenticate, il quotidiano celebra il processo di desegregazione che procedeva incessantemente, con risultati positivi e progressive conquiste.
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Che il sole non tramonti mai su questa gloriosa conquista dell’umanità. Che regni la libertà.
(Nelson Mandela)
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