Ci risiamo. Credevamo chiuso lo scontro tra De Luca e Rosy Bindi. Invece l’ex sindaco di Salerno, ora governatore della Campania, ha pensato bene di dissotterrare l’ascia di guerra e riaprire le ostilità con la collega di partito che presiede la Commissione parlamentare Antimafia. La frase «è stata una cosa infame, da ucciderla» rappresenta senza ombra di dubbio una imperdonabile caduta di stile, oltre che uno strafalcione di grammatica politica.
De Luca si sente forte dopo decenni di consenso bulgaro nella sua Salerno. Da un anno e mezzo governa la Campania, strappata al centrodestra al culmine di un match di andata e ritorno con Stefano Caldoro durato cinque anni. Nel partito democratico è uno degli alleati più in vista di Renzi, con il quale ora fila d’amore e d’accordo dopo aver sonoramente sbeffeggiato l’allora sindaco di Firenze che nel 2012 sfidava per la prima volta Bersani alle primarie. Salvo poi rigirarsi sui tacchi e costruire, un anno dopo, un plebiscito tutto salernitano a favore di Renzi. Ricorderete che, in entrambi i casi, ci fu chi provò a capire come in alcuni seggi di Salerno e provincia si riuscisse a votare in maniera talmente frenetica da far venire fuori affluenze da record e percentuali senza appello prima per Bersani e poi per Renzi.
La longevità amministrativa di De Luca è l’autentico valore aggiunto del suo modo di fare politica. Così come la ricerca trasversale del consenso. Cresciuto con in tasca le chiavi della sezione di Salerno del partito comunista, conosce le dinamiche degli enti locali come pochi.
Da sindaco non c’era atto o notula che non passasse per le sue mani e le giunte duravano pochi minuti, giusto il tempo di alzare la mano e approvare quel che già era deciso. Simbolo di efficienza e simpatizzante dei colleghi leghisti (è ancora oggi grande amico di Tosi), De Luca ha di fatto ricoperto il ruolo di sindaco per 22 anni, essendolo stato in pectore anche quando, suo malgrado, era deputato. Definirlo decisionista sarebbe riduttivo, in realtà impersonifica in pieno la maniacale gestione monocratica del potere amministrativo. Uomo solo al comando per antonomasia, non ha mai riconosciuto un erede politico. Anzi, i pochi chiamati a fargli da surrogati hanno avuto vita breve e fine ingloriosa.
Ha due figli, entrambi nel Pd. Il più grande è membro dell’assemblea nazionale del partito, il minore è invece già assessore comunale al bilancio oltre che responsabile del dipartimento di economia della federazione provinciale salernitana. Inutile dire che prima o poi uno dei due finirà per fare il sindaco, così come pronosticano in molti nella Salerno illuminata dalle Luci d’artista, le luminarie di Natale che rappresentano un inarrivabile attrattore popolare. Un altro dei fiori all’occhiello di De Luca senior.
Confuso forse dalle impeccabili imitazioni di Crozza, il De Luca andato fuori onda in queste ore è però la copia sbiadita del politico tutto di un pezzo che professa di essere da decenni. E se i toni da sceriffo fanno ormai parte del personaggio, quelli brutali non possono avere giustificazione alcuna. Anche a telecamere spente.
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Articolo pubblicato dai quotidiani locali del Gruppo Espresso il 18 novembre 2016
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