La Terra dei fuochi. In queste ore la Campania brucia. Il Vesuvio avvolto dalle fiamme da giorni è una immagine apocalittica che ha fatto il giro del mondo. Uno scempio ambientale, una devastazione senza precedenti. In un solo mese, da metà giugno al 12 luglio, le fiamme hanno divorato un’area della Penisola grande quasi come quella bruciata in tutto il 2016: 26mila ettari di boschi andati in fumo. La Sicilia ha visto finora andare a fuoco 13.052 ettari, la Calabria 5.826 e la Campania 2.461. Numeri senza appello.
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Primi imputati gli ecocriminali che, con precisione chirurgica e dimestichezza sospetta, hanno inferto una delle ferite più profonde che il nostro territorio abbia mai registrato da decenni a questa parte. Sono oltre 100 gli ettari di boschi andati distrutti negli incendi divampati nell’area vesuviana. Fin troppo eloquenti le immagini catturate dallo spazio dai satelliti. Sentinel-2B, la potente macchina spaziale del programma Ue-Esa Copernicus di osservazione della Terra, ha inviato alla base le immagini scattate il 12 luglio nelle quali si vedono le pendici del vulcano completamente coperte dal fumo. Per gli esperti dell’Agenzia Spaziale Europea, proprio il fumo «rappresenta la minaccia più grande» e ha costretto la popolazione a lasciare le proprie abitazioni. Sorvolando il Sud dell’Italia, il satellite Sentinel 2-B ha catturato anche altri roghi. Una foto-animazione dell’Esa mostra infatti, insieme alle fiamme sul Vesuvio, un altro incendio e fumo intenso nei pressi di Positano sulla Costa d’Amalfi.
Le conseguenze sull’ambiente di questo inferno purtroppo sono fin troppo prevedibili. «Gli incendi boschivi sono fenomeni che stanno assumendo carattere di calamità naturale riducendo fortemente il grado di sicurezza ambientale». Micla Pennetta, titolare della cattedra di Geologia ambientale e rischi naturali presso l’università degli studi di Napoli Federico II, intervistata dall’agenzia Dire, non ha usato mezzi termini: «Quando brucia la vegetazione – ha spiegato la docente – viene meno la sua azione di protezione e mitigazione delle acque di precipitazione. Si forma la cenere che impermeabilizza i suoli e impedisce l’infiltrazione della pioggia nel suolo e nel substrato. Aumenta così il quantitativo e la velocità delle acque che defluisce liberamente a quote più basse. Si formano dei solchi che poi, con l’andar del tempo, possono trasformarsi in eventi franosi». Lo spettro è quello di una nuova Sarno, un esempio da manuale che ritorna alla mente fin troppo facilmente. «Le frane che si sono sviluppate a Sarno nel maggio del 1998 – ha dichiarato ancora la dottoressa Pennetta ai colleghi dell’agenzia Dire – si sono attivate tutte insieme nel corso di una notte a seguito di piogge neanche particolarmente intense. Nell’oltre il 60% dei casi le frane si sono sviluppate dove si erano costruiti i sentieri per risalire i versanti. Sentieri che poi sono diventate vere e proprie strade. Le altre frane, invece, si sono sviluppate nelle zone precedentemente interessate da incendi. In pratica: aree denudate della vegetazione che protegge il suolo e il substrato». Una situazione che richiama quella del Vesuvio di questi giorni.
Con le fiamme già alte da giorni e con il Parco del Vesuvio devastato per buona parte, è sembrato assordante il silenzio della politica e, prima ancora, degli amministratori pubblici. Il governo si è accorto della criticità della situazione dopo una settimana, inviando l’esercito a presidiare la cenere e controllare i luoghi. Una pratica di presidio del territorio a posteriori che evidenzia quantomeno la totale ignoranza delle dimensioni del fenomeno da parte degli apparati della burocrazia ministeriale. Anacronistiche le parole del ministro dell’Ambiente, Gian Luca Galletti, evidentemente impegnato su altri fronti, di certo meno scottanti, nei 7 giorni in cui era girato dall’altra parte e non vedeva il Vesuvio avvolto da fumo e fiamme: «Sui ritardi non è il momento di fare polemiche. Faremo una analisi dopo, se vogliamo. Questa è una situazione che mi angoscia, Napoli non lo merita. Faremo di tutto per catturare i colpevoli e gli autori dei roghi sul Vesuvio li voglio vedere in carcere per 15 anni».
Ci è voluto ancora un altro giorno, però, prima che ritrovasse la parola l’ex sindaco di Salerno, Vincenzo De Luca, attuale presidente della giunta regionale della Campania. Peccato che la Regione sia l’ente che ha maggiori responsabilità nella prevenzione e nella lotta contro gli incendi boschivi. A scuoterlo non sono serviti neanche gli appelli dei suoi predecessori. Prima Antonio Bassolino che, via facebook, ha invocato l’intervento del governo per tutelare il Vesuvio e la Campania in fiamme, usando toni perentori ed evitando accuratamente di citare la Regione, intesa come ente. Una dimenticanza politica che vale quanto una sottolineatura con la matita blu dell’operato (?) di De Luca e del suo staff. A ruota Stefano Caldoro che l’ha messa un po’ troppo sul piano personale, essendo stato prima vincitore e poi vinto del doppio duello (2010 e 2015) con l’attuale governatore.
Fuoco (politico) amico e nemico a parte, il ruolo della Regione nella catastrofe ambientale che travolge la Campania è fondamentale. La premessa è che «quest’anno i Vigili del fuoco hanno ereditato i compiti, che erano del soppresso Corpo forestale dello Stato, di concorso con le Regioni nella lotta attiva contro gli incendi boschivi. Per affrontare questi compiti che prima svolgevano 8mila forestali, seppur in via non esclusiva, ne sono transitati nei Vigili del fuoco solo 361 ma ne servirebbero almeno 2mila. Questa criticità, che si sovrappone alla preesistente carenza di 3.500 pompieri limita fortemente le potenzialità operative dei Vigili del fuoco in quelle regioni che sono in ritardo sulla attivazione delle convenzioni». La nota chiarificatrice viene dal Conapo, sindacato dei Vigili del Fuoco, e porta la firma del segretario Antonio Brizzi.
Il ragionamento, leggi alla mano, non fa una grinza. Sullo sfondo c’è una questione di soldi. De Luca ha intenzione di firmare una convenzione per 600mila euro mentre con il comando regionale dei Vigili del fuoco ne erano stati concordati 920mila. Una tattica al risparmio, insomma.
Quello che fa più specie, però, è la neanche poi tanto nascosta ammissione che dietro agli incendi ci sono figure che, in qualche modo, sarebbero contigue alle istituzioni. A farne menzione è lo stesso De Luca, uscito allo scoperto nella mattinata dedicata all’inaugurazione della Giffoni multimedia valley, la cittadella del cinema battezzata tra sorrisi e tagli del nastro insieme a Maria Elena Boschi, rappresentante del governo: «Ci sono interessi economici, il bisogno di garantirsi successivamente il lavoro anche da parte di fasce di precariato. O c’è chi come nell’area del Parco del Vesuvio mette in campo operazioni di resistenza e sabotaggio». A chi si riferisce il governatore quando parla di “precariato”? E “resistenza” e “sabotaggio” poi sono termini ben precisi che, in lingua italiana, sono riferiti a chi, a vario titolo, fa parte di una organizzazione, di un ente, di una istituzione contro cui agisce per averne un tornaconto. Se De Luca sa che denunci, allora. Cosa aspetta?
C’è anche un altro punto debole nella gestione della lotta agli incendi in Campania. E’ la mancata approvazione per il 2017 dei piani Antincendi, denominati Aib, dei parchi e delle riserve naturali dello Stato. Li deve predisporre il ministero dell’Ambiente, attraverso gli Enti Parco, e poi devono essere assunti, d’intesa con le Regioni interessate, nei rispettivi Piani Aib territoriali. A tutt’oggi, come evidenzia Legambiente, risultano 13 i piani Aib in vigore, otto con l’iter non ancora concluso e due Parchi (Stelvio e quello del Cilento e Vallo di Diano) con il piano antincendi recentemente scaduto e da aggiornare. Per capirci , il “sistema” Antincendio Boschivo è l’insieme di tutte le attività atte ad estinguere, nel minor tempo e con il minor danno, un incendio boschivo. L’organizzazione del sistema Aib è gestita singolarmente dalle regioni italiani che redigono, approvano e seguono i Piani Antincendio annuali, biennali o triennali secondo la legge 352 del 2000. Il federalismo nella gestione dell’incendio boschivo è dovuto alla vasta differenza climatica, forestale e gestionale delle regioni italiane. Solitamente anche i Parchi Nazionali attuano un proprio Piano Antincendio Boschivo. (fonte Wikipedia)
Come ha scritto Vittorio Emiliani, editorialista dei quotidiani locali del Gruppo Gedi, «si è fatta una campagna martellante contro le Province giungendo alla loro sterilizzazione. Bisognava invece guardare dentro al malfunzionamento delle Regioni che non sanno o non vogliono attuare le loro competenze ogni volta che sono “scomode” o troppo impegnative. Quindi niente piani paesaggistici a difesa del patrimonio boschivo, niente catasto comunale delle zone già attraversate da roghi, per lo più “criminosi”, niente lotta a fondo all’abusivismo edilizio, piaga ormai secolare. Anche quando intacca il Parco Nazionale del Vesuvio alle cui pendici abitano e quindi sono a rischio 700.000 persone! Anzi, gli incendi attuali risultano mirati a difendere i fabbricati da demolire».
Governo e Regione responsabili non certo dei roghi, ci mancherebbe, ma dell’evidente stallo gestionale che ha reso la Campania ancora più vulnerabile di quanto già non sia naturalmente. Oltre alle mani criminali dei piromani e dei costruttori senza scrupoli, le responsabilità vanno cercate anche nelle scelte politiche. Anzi nelle scelte non fatte dalla politica. Piani di emergenza chiusi nei cassetti, una popolazione impreparata e che non ha la percezione del rischio. Resta tutto sulla carta come le analisi sul consumo di suolo, salvo poi continuare a costruire come sempre. Forse informando meglio la gente si renderebbero anche più comprensibili i piani di abbattimento delle costruzioni abusive, divenuti merce appettibile nelle campagne elettorali.
Il Vesuvio, il Cilento, la Costa d’Amalfi, i Campi Flegrei intanto bruciano. Così la Sicilia, la Calabria, la Puglia, il Lazio. Un terzo della Campania è coperta da boschi e foreste. Una risorsa che la Natura ha riservato a questa terra. Ma i roghi cacciano dalle montagne e persino dalle nostre coste decine di migliaia di turisti. «Vengono carbonizzati boschi secolari, nidi e covi di uccelli, di animali selvatici. Sulle alture “cotte” dal fuoco si abbatteranno le piogge autunnali con frane, colate di fango, alluvioni», scrive ancora Emiliani.
Girarsi dall’altra parte, indugiare nelle scelte, anteporre la politica e la propaganda alle soluzioni sono azioni che equivalgono a reati. E se i criminali armati dal malaffare e dagli interessi sono da considerarsi assassini più che piromani, la cattiva gestione del nostro patrimonio naturale rappresenta una colpa grave.
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Fonti giornalistiche: AdnKronos, Agi, Agl, Ansa, Dire, LaPresse.
Fonti istituzionali: Arpa Campania, Legambiente, Regione Campania
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