Almeno 81 giornalisti uccisi di cui 2 in democrazie dell’Unione europea, oltre 250 in carcere di cui 160 nella sola Turchia, e livelli di violenza e minacce «inaccettabilmente elevati». È il panorama che traccia il rapporto sul 2017 dell’International Federation of Journalists, la Federazione internazionale dei giornalisti, dove se da un lato emerge una tendenza al ribasso sul numero complessivo delle vittime dell’informazione dall’altro il tasso di violenza e di intimidazioni nei loro confronti è salito alle stelle.
La bozza del «Kill Report», che ha dati aggiornati sino al 29 dicembre, indica che i probabilmente 81 cronisti uccisi (manca ancora la conferma della morte di un giornalista afghano rimasto vittima dell’attacco terroristico a Kabul di giovedì 28 dicembre 2017) sono il minimo storico da un decennio, e in netto calo rispetto all’anno scorso quando i morti furono 93. La maggior parte sono stati eliminati in Messico (13), ma molti anche nelle zone di guerra di Siria (10), Iraq (11) e Afghanistan (11), ma anche in India (6) in assassinii mirati, autobombe e incidenti a fuoco.
Otto le donne reporter morte, tra cui 2 in democrazie europee, ovvero la danese Kim Wall fatta a pezzi in un sottomarino dal suo intervistato, e la maltese Daphne Caruana Galizia, impegnata in inchieste sui paradisi offshore e di cui è stata fatta saltare l’auto mentre era alla guida. Il calo delle uccisioni «rappresenta una tendenza al ribasso», ma «i livelli di violenza nel giornalismo restano inacettabilmente elevati», ha affermato il presidente dell’Ifj Philippe Leruth, soprattutto perché «la cosa che disturba di più è che questo calo non è dovuto a nessuna misura presa dai governi per contrastare l’impunità di questi crimini». Non solo. «Un numero senza precedenti di giornalisti è stato incarcerato, obbligato a fuggire» avverte l’Ifj, mentre «l’autocensura è ormai diffusa e l’impunità» per questi crimini «è a livelli epidemici».
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