Sbarchi a Lampedusa: dalla parte sbagliata del mondo

di Angelo Di Marino
Migranti. Profughi. Clandestini. Etichette appiccicate sulla pelle di uomini e donne consapevoli di poter avere un futuro solo lontani dalla propria terra, dalle loro radici, dagli affetti di una vita. E’ questo il quadro desolante che racconta dell’ennesima sconfitta del sud del mondo, condannato senza processo dalle speculazioni della politica. La storia ci ha insegnato come le scene di Lampedusa partano da lontano. L’attuale assetto dell’Africa è figlio legittimo della guerra fredda. Fallita la fase del colionalismo e ridisegnate le spartizioni, sono state le due superpotenze a fiancheggiare le cicliche rivoluzioni che hanno letteralmente devastato quel continente. Prima favorendo l’ascesa di dittatori spietati, armati fino ai denti e smisuratamente ricchi in paesi sempre più poveri. Salvo poi sostenere i ribelli, foraggiati con pistole e fucili all’ultima moda utili per aprirsi la strada nei palazzi presidenziali, flagellando popolazioni spesso inermi e senza difese. Più lucida ma non meno determinante, la politica del progressivo (e apparente) disimpegno della Francia dalle ex colonie, trasformatesi in repubbliche senza democrazia.
Sullo sfondo un affare colossale, un giro di denaro e di potere controllato a distanza dai grandi del mondo. Una storia brutta che va avanti da anni, anzi da secoli. Non possiamo sorprenderci se, ancora una volta, dietro ai sussulti che dilaniano Libia, Tunisia, Egitto ci siano grandi interessi economici che nulla hanno a che fare con la sacrosanta voglia di libertà di questa gente oppressa da sempre e che non conosce altra soluzione se non la fuga. Non ci stupisca che vedano nell’Italia il salvacondotto più a buon mercato per sperare ancora, lasciandosi alle spalle fame e devastazione. Il nostro paese viene giudicato come l’anello debole dell’Occidente, proteso verso il Sud del mondo perché esso stesso meridione dell’Europa. Una lingua di terra che, secoli addietro, attraeva i mercanti di spezie e pietre preziose e che ora fa da trampolino verso il Nord evoluto e ricco. E poi noi di migrazioni siamo protagonisti: basti pensare a quelle che, dall’Ottocento al secolo scorso, ci hanno visti solcare oceani e montagne pur di sfuggire alla miseria. Oleograficamente i nostri migranti sono raffigurati ancora oggi con la valigia di cartone e il caciocavallo sotto il braccio. Meno romanticamente, nel nostro Dna sociale ci sono fin troppi tratti comuni con la gente che rimonta i paralleli alla disperata ricerca di un futuro.
Chi meglio di noi, meridionali del mondo evoluto, può capire e interpretare il malessere. Sapendo che c’è un denominatore unico alle migrazioni: la esplicita volontà di non risolvere la questione meridionale. Sia essa relegata nei confini nazionali o esplosivamente debordante dalle frontiere senza ostacoli che dividono i popoli ma non le loro sofferenze. Noi come loro, come i profughi-clandestini che vengono da lontano, siamo dalla stessa parte sbagliata del mondo. Il cui destino è legato prima agli interessi degli altri che ai nostri, lasciati volontariamente a marcire sotto il sole che tutti ci invidiano ma che brucia anche d’inverno.
La distanza si misura a spanne in queste ore. Gli sbarchi sono un nostro problema, non di chi sta più a nord di noi. Ce lo fa capire la Francia e mezza Europa. Lo spiega meglio di mille parole il fuoco di sbarramento della Lega a tutela delle proprie regioni. State pur certi che i migranti resteranno al di sotto del Garigliano e che la Campania farà la sua parte, salernitani compresi. Siamo terra sensibile, siamo Sud dell’Italia, dell’Europa, del mondo. Dalla stessa parte di chi crede di fare rotta verso Nord e invece punta dritto all’inferno.

pubblicato su “la Città” del 3 aprile 2011

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