Chi pensava che Vincenzo De Luca si fosse placato dopo le dure affermazioni contro il Pd e il caso Penati, si è sbagliato. Dalla festa provinciale del partito, che ha chiuso i battenti a Pontecagnano Faiano, il sindaco di Salerno, incalzato dalle domande del direttore del nostro quotidiano, Angelo Di Marino, è tornato all’attacco, ancora più duramente di come aveva già fatto due settimane fa.
«Il Pd continua a vivere delle contraddizioni interne. Ha un gruppo dirigente inadeguato che non sa rappresentare questa spinta che viene dal basso. Sono – ha attaccato – tutti impegnati con le correnti e le sottocorrenti a preparare le liste elettorali. Sono indignato». Strappa applausi De Luca, da una base che non sente più il partito vicino, in un momento difficile, di crisi economica, ma soprattutto politica ed istituzionale.
«La Campania ha una crescita che è pari a zero. E alla Regione non sono in grado di sbloccare i fondi Fas, perché si attaccano a procedure barocche. E il Pd? Cosa fa? E’ vuoto, non dice nulla. Se oggi avessimo un’alternativa credibile saremmo al 40 per cento dei consensi. Ma qui non sanno neanche fare delle proposte. Lo sa la gente cosa sono, non i “professori di mandolino” che stanno a Roma». Il futuro del Pd quindi, lui non lo vede. «Per costruire un’alternativa capace di battere questo Governo – dice – dobbiamo ancora lavorare molto».
E sul futuro dell’Italia e del Mezzogiorno – tema dell’intervista di ieri sera – il suo giudizio è ancora più negativo. «Siamo allo sfascio. Non abbiamo più i soldi per fare nulla. I servizi essenziali sono ridotti all’osso: la sanità, i trasporti, i rifiuti. Su questi temi – sottolinea ancora De Luca – il Pd doveva creare delle proposte. E invece ce le hanno dovute suggerire gli industriali, che hanno avanzato l’idea della mini patrimoniale».
Un partito assente quello descritto dal primo cittadino. Questa volta – come avvenne in primavera – parla di nuovo di “anime morte”.
Un partito che non propone, che non sa scegliere cosa è meglio per venire fuori da una crisi profonda, che colpisce soprattutto il Mezzogiorno. Ma anche un partito che non dialoga con il territorio e che non si rinnova. «Serve – indica infine il primo cittadino di Salerno – una nuova classe dirigente che venga dal territorio, che deve sudarsi i voti. Basta con i nominati».
Ed è proprio sul tema delle candidature, che attacca di nuovo Bersani, lanciando quello che, più che una promessa, ha il sapore della minaccia: «L’ho detto anche a Bersani: se la prossima volta ci mandi qualcun altro che viene dal Sudtirol, ti puoi scordare i nostri voti».
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