NAPOLI. Fuori diluvia. Dentro piovono applausi. E’ così che Napoli saluta Vincenzo De Luca. La sala dell’hotel Vesuvio, un isolato prima dell’Excelsior dove si presentò Caldoro, sembra un uovo: piena fino all’orlo, tanto da straboccare. Chi segue dal maxi schermo cerca comunque di affacciarsi, di sbirciare, di annusare il profumo di nuovo. Sono quelli che conoscono il sindaco di Salerno per averlo visto in tv o sui giornali, ma che adesso vogliono guardarlo negli occhi per capire cosa ha di diverso da Bassolino. Perché è questo che ci si chiede nella sala e anche fuori, tra la folla di salernitani e napoletani. Il piglio è quello noto, del sindaco sceriffo e decisionista che, finalmente, può gridare alla Campania intera le sue idee, il suo programma, il suo futuro. Non sfodera la magica frase “modello Salerno”, sa bene che non tirerebbe da queste parti. Ma i cardini del discorso derivano proprio dalla esperienza di governo cittadino, portata avanti parallelamente a quella di Bassolino. Due binari che mai si sono incontrati, correndo uno accanto all’altro. E ancora si confrontano a distanza senza incrociarsi.
Ringrazia Marone, Bassolino e saluta Giorgio Napolitano, garante degli italiani e “figlio della Campania”. I toni, solo all’inizio, sono concilianti. La vigilia è stata tesa come una corda di violino. Le ferite sanguinano, meglio non metterci su il sale. Sutura con parole misurate, quando se la prende con i giornali che fanno caricature del partito democratico: “Niente guerre, solo opinioni diverse”. L’acuto arriva con l’esaltazione dell’attuale governatore: “Bassolino appartiene alla storia democratica del nostro paese”. Ricorda Maurizio Valenzi e Monica Tavernini, poi ingrana la marcia e non si ferma più.
Sessantacinque minuti filati. Da solo sulla ribalta, amici (tanti) e alleati (pochi) sono tutti di fronte a lui, qualcuno seduto altri in piedi. “Siamo qui per vincere”: lui tuona e la platea risponde presente. Gli applausi si moltiplicano, De Luca accompagna il suo discorso con smorfie del volto e gestualità perentoria. Scene viste molte altre volte in questi anni, ma che stavolta assumono un contorno diverso. Assistiamo al compimento del progetto. Che parte da lontano, da quando quel giovane di origini lucane studiava da sindaco, lavorando nel laboratorio politico che fu la Salerno degli anni ’70-’80. Un’epoca di crescita, di confronto ma anche di soluzioni che divennero innovative, soprattutto per le amministrazioni locali. E poi gli anni Novanta, quelli dell’esplosione personale. La stagione dei sindaci cucita addosso, le fontane ed i cantieri, i San Matteo sempre più ricchi, le inaugurazioni a ripetizione: insomma, la Salerno di De Luca. E da oggi la Campania di De Luca. Pensa in grande, ad una regione dell’eccellenza in tutti i campi. Dalla sanità, al turismo, dall’urbanistica all’arte. Rende omaggio al maestro Roberto De Simone, da tempo in rotta di collisione con Bassolino. Guarda ai giovani che in sala ci sono e lo ascoltano, lo studiano per capirci qualcosa.
Il programma è lì, gli altri ancora devono scriverlo mentre lui lo recita a memoria. E’ il frutto di anni di lavoro ma anche di attesa. Ha aspettato tanto questo momento De Luca, ma ora che è arrivato lo subordina ai veri valori della vita: “Vengono prima i miei figli, gli affetti e poi la politica”. Da laico investe della questione elettorale anche la Chiesa, esaltando il cardinale Sepe e suonando l’adunata per i cattolici con i quali la sua candidatura ha più punti di contatto. Ogni parola è scandita, cesellata come fa un artigiano con i suoi gioielli. Il sindaco-candidato è fatto così, quello che dice è quello in cui crede. E questo la gente lo capisce.
E i partiti? Non ci sono, perché per De Luca sono marginali rispetto alla gente. Lo dimostra il pannello alle sue spalle: “Campania libera”. Non un marchio, non un logo, neanche l’ombra di una sigla di partito. Il suo nome e il suo sogno. Sa bene che il suo avversario, il correttissimo Stefano Caldoro, è avanti. Infatti De Luca chiede a tutti uno sforzo superiore per costruire un “grande sussulto democratico” per spazzare via camorra, clientele e servilismo, ristabilendo il rispetto ed il rigore. Sono parole che accendono la speranza e che disegnano il futuro: “Dobbiamo realizzare una nuova primavera”. Perché non provarci, si chiedono i tanti che sono in sala. E perché non dovrebbe provarci la Campania, che adesso ha un’alternativa. Si chiama Vincenzo De Luca. Fa il sindaco a Salerno. Farà il governatore? Forse, di certo ci proverà con tutte le sue forze. Mettendoci la faccia. Come sempre.
pubblicato su “la Città” del 31 gennaio 2010
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