di Angelo Di Marino
NAPOLI. Le Vele sono lì. Due passi e puoi anche toccarle. La sensazione è quella di essere al confine con Gomorra. A due sul motorino e senza casco. Sigarette di contrabbando. Paranzielli e muschilli che ti scrutano. Nei terranei si vende il pane e la droga usando la stessa bilancia. E’ la Napoli più scamazzata quella che De Luca ha voluto incontrare nel primo giorno di scuola.
Un passo difficile in un cammino già complicato di suo. Perché qui non hai un nemico da combattere ma molto di più. E non puoi parlare di camorra e basta, finiresti per dissertare della corda in casa dell’impiccato. Basta guardarti intorno per capire che qui di promesse gliene hanno fatte sai quante in questi anni. Ma nulla, o molto poco, è cambiato. Venticinque anni fa giravi alla larga dopo una certa ora da via Bakù, dove abitano ancora adesso più famiglie di operai che di capibastone. Ma allora qui qualcuno lavorava, chi nella birreria Peroni di Miano, chi a Secondigliano, qualcuno aveva “il posto” all’Italsider o all’Alfasud di Pomigliano. Poi la sera tornava evitando di salutare ed infilandosi nel portone di casa con la testa nel bavero del cappotto. Quella gente adesso ha una pensione da mille euro al mese e dei figli che non sanno manco come è fatta l’Italsider o l’Alfaromeo. Parlano di internet, scambiano anche qualche battuta con il figlio più piccolo del sindaco-candidato, volutamente piazzatosi nelle ultime file mentre il padre snocciola idee e sogni.
Sono ragazzi e uomini che sanno di potersela giocare la partita della vita, anche se nessuno ha ancora dato loro il pallone e fischiato l’inizio della gara. Attecchisce così, tra Secondigliano e Scampia, la delusione prima ancora che la camorra. Una volta sul Corso il commercio era il fiore all’occhiello della Napoli che guarda a Nord. Adesso ci sono i cinesi, le scritte “svendiamo per liquidazione”, i cartelli con “cedesi attività”. Dove si intrecciavano le strade per andare a Roma, si rivedono le cambiali ed i fallimenti. E l’usura. I debiti. I soldi che non bastano.
Eppure il mondo intero conosce questa parte di Gomorra, dove le scalinate dei palazzi convergono in un gioco di piramidi con i vertici rivolti rigorosamente verso il basso. Un segno del destino più che un vezzo architettonico. Allora De Luca parla di futuro, di cose da fare insieme, di Europa, di lavoro. Sono proprio i giovani che lo accolgono alla municipalità di viale della Resistenza a volerne sapere di più. C’è chi ha inventato la bandana di “De Luca presidente”, altri inneggiano al candidato governatore sventolando uno striscione fatto in casa col cartoncino bristol con su scritto “non bruciare il tuo voto, scegli De Luca”. Forse non sarebbe piaciuto ad Oliviero Toscani, ma la sua figura in questa circostanza la fa lo stesso. Spunta anche Mario Pesce, ex arbitro di Chiaiano, che ha un talismano da regalare al sindaco. Lo ferma, due parole di dedica e poi va via: “Devo andare ad una riunione con la senatrice Carloni, cerchiamo di ricucire…”. Un pontiere con i bassoliniani che, a distanza e via cellulare, si informano di quanta gente è lì per sentire cosa ha da dire De Luca. Tattica miope, ma trattasi solo di conferme.
Il “siamo tutti cittadini di Scampia” scandito dal sindaco di Salerno nello stanzone pieno di umidità della municipalità-fortino sa di Kennedy davanti al muro di Berlino. Fatte le debite proporzioni, certo. In fondo anche qui c’è qualcosa da abbattere. E’ l’indifferenza della politica, da sempre capace solo di promettere senza mai mantenere. “Non abbandonate questa terra, dovete resistere”, si sgola il candidato. Lo ascoltano in tanti. In pochi resisteranno ancora.
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pubblicato su “la Città” del 16 febbraio 2010
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