di Angelo Di Marino
Ci siamo. Dopo settimane di gomitate, promesse, goliardate, bugie, lettere, spread, insulti, scandali, inciuci, numeri da circo e bassezze. La campagna elettorale è finita e non ci sono più alibi. Per noi in primis, che alla fine, nonostante il porcellum, abbiamo sulla punta del lapis il tratto con cui disegnare il futuro del Paese. Perché il bello (o il brutto, se preferite) della storia è che l’ultima pagina la scrivono gli italiani, gli elettori. Da Aosta a Caltanissetta, passando le montagne, i fiumi e i laghi della penisola più bella del mondo ma che con la politica non ci ha mai preso granchè.
Siamo nudi nel seggio, spogliati delle ultime foglie di fico offerte, bontà loro, dai fin troppi politicanti disseminati in lungo e in largo dalle nostre parti. E’ il momento della scelta che faremo sentendo sulle spalle anche il peso di quanto non commesso da noi ma da altri. Nel sottile gioco della democrazia c’è anche questo: il confrontarsi con le colpe altrui ed espiarle come fossero nostre. Ecco, per esorcizzare l’aspetto filosofico del voto potrebbe tornare però utile un esercizio: proviamo per un attimo, pochi secondi per carità, a guardare chi ha preso posto negli scranni del Parlamento negli ultimi anni. E a quanto la buona parte di loro sia poi realmente diversa da noi. In quante delle loro debolezze ci riconosciamo. Quali delle declinazioni con cui gestiscono potere e affari vorremmo ci appartenessero. Più o meno segretamente, in molti potrebbero rispecchiarsi in profili che, con faciloneria, c’è chi liquida con la definizione di italiano medio, che fa molto vintage ma in fondo rende bene l’idea.
Quanto siamo pronti, a questo punto della nostra storia, a emarginare quel lato oscuro e inconfessabile preferendogli orizzonti morali finalmente aperti al mondo e non più rinchiusi nel microcosmo del proprio tornaconto personale? Per fare scelte così non serve urlare o sbraitare, dimenarsi su un palco o promettere la luna sapendo di non poterla neanche sfiorare. Basta il buonsenso. Quello che ci fa capire come votare sia una responsabilità che non prevede ricompense se non la certezza di aver provato ad agire per il meglio. Pensieri e valutazioni che fanno a cazzotti con quanto, ancora una volta, abbiamo visto in questa campagna elettorale.
Per capire quale sia il reale valore che l’ormai famoso italiano medio dà al voto e alla politica, ci si può soffermare sulle prime file delle poltroncine di teatri e sale che hanno ospitato i big nei giri di propaganda a Salerno quanto in provincia. Concentrati in pochi metri quadrati, è stato facile trovare spesso anche gli stessi personaggi, a vario modo distribuiti con cariche e ruoli negli strati sociali e civili del territorio, in una galleria che ha come fine ultimo l’opportunismo. Magari giustificato con una trasversalità politica che va tanto di moda in questo periodo.
Atteggiamenti che sono legittimati da come i politici hanno modulato il rapporto con i loro potenziali elettori. Attratti nella ragnatela prima ancora che nel sistema di divisione e gestione del territorio. In nome di tornaconto magari solo immaginati e di una cieca lealtà che ricalca i termini dell’affiliazione. L’arroccarsi nei palazzi del potere è vizio assai diffuso da queste parti. Dove l’assenza di confronto ha creato un’asfissia partecipativa, degenerata in una forma di assuefazione priva di qualsivoglia impulso propositivo. Salvo trasformarsi in attivismo militante al momento di esercitare il proprio voto, afferente alla causa in nome della legge della domanda e dell’offerta.
È questo che ha fatto tanto male alla politica. Qui come nel resto del Paese. Ma chi adesso urla contro di essa, in realtà, non fa altro che ripetere lo stesso copione, interpretandolo magari a modo suo usando i toni della commedia all’italiana o del cabaret, a seconda della scuola di pensiero da cui proviene.
Votare significa scegliere la strada della democrazia, mentre certe rivoluzioni non passano per le urne ma le travolgono. Non vogliamo altre macerie, solo un’Italia con un futuro per tutti. Senza rimpianti per un passato che forse non sarà mai storia.
©RIPRODUZIONE RISERVATA
pubblicato su “la Città” del 24 febbraio 2013
Condividi questo articolo
Segui
Leave a comment
Devi essere connesso per pubblicare un commento.