di Angelo Di Marino
San Matteo è tra un mese. O poco più. Fino a qualche anno fa, i giorni che precedevano il Patrono diventavano una sterminata serie di inaugurazioni, con tagli di nastro e brindisi ad ogni ora. I più attenti ricorderanno sicuramente le frotte di muratori, carpentieri, piastrellisti, riggiolari e tubisti al lavoro anche di notte per garantire la migliore angolatura a fotografi e telecamere delle opere cantierizzate.
Roba da stakanovisti, anzi da cinesi. Il progressivo impoverimento delle risorse esogene, la galoppante crisi e la pochezza dei bilanci pubblici hanno cambiato copertina e contenuti del carnet di appuntamenti che precedono San Matteo.
Segno dei tempi. Certo, ma anche evidente controprova di come Salerno non sia enclave o isola felice. Trattasi di una città del Sud di medie dimensioni alle prese con l’Italia di adesso che, in fondo, non è poi così diversa da quella di sempre. Per carità, più vivibile di Scampia ma non certo meglio di Lecce. Senza voler esagerare, ma è nei momenti più difficili che dovrebbe venir fuori il talento amministrativo e gestionale, fin troppe volte sventolato quando si trattava di aprire cantieri con fondi europei o inaugurare perimetri e cubature frutto dell’altrui ricchezza, con quest’ultima in molti casi divenuta poi fallimento. Ora per poter costruire si è costretti a vendere beni che quasi sempre non trovano acquirenti. Un po’ come chi porta i gioielli di famiglia al monte di pietà sperando di tirare avanti.
Ma Salerno resta pur sempre una città che favorisce l’impresa, grazie a una sburocratizzazione spinta rispetto al resto della Campania. A dire il vero, spesso è sembrato di assistere più a provvedimenti estemporanei che ad una linea operativa uguale per tutti.
Annunci a parte, sarà di certo un San Matteo senza piazza della Libertà, i cui lavori si sono impantanati tra ricorsi e giudizi di merito, senza il parcheggio sotto il Crescent e senza la stazione marittima. Opere anche faraoniche, forse uniche ma che hanno creato in questi anni tante grane per quanto sono grandi e grosse. Colpa degli altri, si dirà. Forse, resta però un dubbio: ma questa Salerno ha davvero bisogno di piazze e palazzi dalle forme così strabilianti per fare colpo? E poi su chi?
Forse meglio non porsi tanti interrogativi e godersi il sole. Peccato che i negozi chiudano per non riaprire dopo le ferie e che il lavoro sia un miraggio. Peccato pure che si resti in città, a Mariconda quanto a Mercatello, non per godere delle bellezze architettoniche spesso incompiute ma per assoluta mancanza di mezzi. È in giornate come queste che ti accorgi di come Salerno sia Italia e Sud, non fiaba uscita dal libro dei sogni.
Non resta che San Matteo, allora. L’anno scorso, nel pomeriggio della processione, si consumò uno degli strappi più violenti tra Chiesa e politica dai tempi della Breccia di Porta Pia. Il sindaco non marciò con i fedeli, a due palmi dal santo come di consuetudine. Uno screzio nella sede vescovile qualche ora prima della sacra celebrazione fece saltare il consolidato copione. Gettando i salernitani nell’angoscia: “Come sta?”, “Che gli è successo?”, “E ora che ci succederà…”: adombrando oscuri presagi, la Salerno di De Luca visse una serata da incubo. Perché, e non ce ne voglia il Patrono, San Matteo è si santo ma gabelliere. I veri miracoli qui li ha fatti qualcun altro. E chi meglio dei miracolati, che a Salerno sono ancora tanti, può saperlo?
pubblicato su “la Città” del 18 agosto 2013
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