Campania alle urne: voto di protesta o di apparato?

di Angelo Di Marino
Il tempo è scaduto. Per i candidati che non possono far altro che aspettare. Per gli elettori che devono scegliere nel segreto dell’urna. Per la Campania che è arrivata al bivio dal quale, una volta imboccata l’una o l’altra strada, non potrà più tornare indietro. Almeno per i prossimi cinque anni. E’ una scheda che scotta quella che verrà messa nelle nostre mani, almeno quanto una patata bollente.
I due principali aspiranti al trono, De Luca e Caldoro, arrivano a vedere il traguardo in condizioni abbastanza diverse. Tentiamo insieme una fotografia dello stato dell’arte.
Il centrodestra è sicuro di vincere. Conta anche sulla presunta mancanza di conoscenza, da parte degli elettori, del voto disgiunto, invocato più volte invece dalla controparte. I vertici campani del Pdl hanno evitato ulteriori stress a Berlusconi, ritenendo superflua una sua seconda presenza in zona dopo la serata alla Mostra d’Oltremare. Caldoro, parlamentare e giornalista, non sarà un trascinatore di folle, ma è una persona per bene ed esperta. E’ partito senza urlare, ha finito con alzare la voce. Alle sue spalle una coalizione molto ampia, che ricorda ed evoca un po’ troppo il passato. Una macchina da voti vecchio stampo, mutuata dagli apparati di partito degli anni andati. Con tutti i pregi e i difetti del caso. Nelle liste qualche cognome ingombrante e poche novità. A bordo anche Roberto Conte, condannato per concorso esterno in associazione mafiosa. Candidatura fermamente rinnegata da Caldoro.
Il centrosinistra era sicuro di avere già perso. Adesso si è ricompattato, ringalluzzito. O, meglio, il partito democratico sembra per una volta unito, dopo mesi di laceranti discussioni e liti puntigliose. Ha trovato un leader, De Luca, e quel sorriso che deriva dalla riscoperta della militanza che dovrebbe essere nel codice genetico del Pd e che, invece, era finito in soffitta. Dopo aver perso giorni, settimane e mesi, i democratici hanno capito che solo puntando sul cambiamento avrebbero potuto fare breccia. In realtà, è il sindaco di Salerno ad essersi messo sulle spalle tutto il peso, tentando di lasciare a terra quanta più zavorra possibile. Lo stesso De Luca, poi, è stato l’autore indiscusso dell’unico vero evento di questa campagna elettorale, quando è riuscito a riempire piazza del Plebiscito. Sempre da solo, ha fatto quello che era umanamente nelle sue possibilità, forse anche qualcosa di più.
I due favoriti hanno fatto del cambiamento il loro cavallo di battaglia. Sia pure con declinazioni diverse, Caldoro e De Luca dicono di voler svoltare con il passato. Prendiamo in prestito una considerazione contenuta nell’opinione di Umberto De Gregorio, pubblicata ieri da questo giornale: “Ma siamo sicuri che la Campania voglia davvero il cambiamento?”. Riflessione giusta, anche perché racchiude il vero dilemma di queste elezioni. Sarà un voto di protesta o di apparato? E in che misura prevarrà l’uno sull’altro? Quanto emerso soprattutto negli ultimi dieci giorni, fa capire come le corporazioni rappresentino il vero ago della bilancia. Lo testimonia il numero esponenziale di cene elettorali organizzate da e con professionisti, imprenditori, industriali. Lobbismo, insomma. Basti un esempio per tutti: la sanità. In Campania è l’unico settore in cui pubblico e privato si fondono, vivono osmoticamente, rappresentando un serbatoio di interessi (e di voti) che non ha eguali. E che è trasversale, assolutamente scollegato dalle ideologie e dai romanticismi di bandiera. Ecco, provate ad immaginare come si comporteranno nell’urna le migliaia di persone coinvolte a vario titolo nella questione. Che in questi decenni, fatti sicuramente di debiti saliti alle stelle ma anche di strutture cresciute a dismisura, è diventata la spina dorsale della nostra regione. La giunta uscente ha chiuso il suo mandato con delle nomine e con una delibera che stabilizza 900 precari tra infermieri ed ausiliari. Entrambi gli schieramenti hanno annunciato che le nomine verranno azzerate all’insediamento della nuova giunta. Aspettiamoci, quindi, un lungo periodo di polemiche e di carte bollate.
Sulle elezioni anche l’incognita dell’astensionismo e l’ombra del voto di scambio. Il primo fenomeno è direttamente collegato al disinteresse sempre crescente che ampie fette della nostra popolazione nutre nei confronti della politica, ancora troppo distante dalle vere esigenze del Paese. Il secondo rappresenta la cartina di tornasole della nostra condizione sociale. Un voto vale pochi euro e il solo sapere ci possa essere chi ancora specula sulla miseria riporta la nostra terra indietro di secoli. E’ questa la Campania che ha bisogno di una svolta. Buon voto.

pubblicato su “la Città” del 28 marzo 2010

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