Libertà di stampa a rischio. E non solo quella

di Angelo Di Marino
Abbiamo un problema. Noi, voi, tutti. Si tratta del diritto ad essere informati. E del dovere dei giornalisti di raccontare i fatti. In un Paese come il nostro, dove democrazia e libertà sono valori radicati e riconosciuti, suona strano dover fare certi discorsi. Ma è meglio farli, vista la situazione. Il governo sta lavorando giorno e notte (nel senso letterale del termine) ad una serie di provvedimenti che, di fatto, impediranno il giornalismo d’inchiesta, mettendo nel girone dei dannati quanti finora hanno osato pubblicare le intercettazioni riguardanti le inchieste giudiziarie. Premesso che lo stesso istituto dell’intercettazione è a rischio, a causa dei mezzi sempre più limitati a disposizione delle procure e dei paletti piazzati nel corso degli ultimi mesi, è prassi consolidata nel moderno giornalismo riportare stralci di conversazioni tra indagati registrate nel corso di azioni investigative. Si dirà che in qualche caso ne è stato fatto un uso eccessivo, che forse si è sbirciato un po’ troppo nel buco della serratura e che qualcuno ha pensato più all’aspetto pruriginoso delle telefonate, ma tutto questo non sposta di una virgola la questione. Il cittadino, quello italiano nel nostro caso di specie, deve sapere se chi ha spedito in Parlamento o al governo o all’opposizione ha pericolose consuetudini con il malaffare, oppure ha un debole per i soldi (altrui). Lecito, almeno così dovrebbe essere. Ma la nostra politica non la pensa così. E non crediate che Berlusconi sia il primo a cui i titoli dei giornali fanno venire i brividi. La nostra storia è piena di casi simili. Attriti, chiamamoli così, che sono stati però sempre sintomi di salute, visto che il mestiere del giornalista è quello di raccontare anche le cose scomode, anzi soprattutto quelle.
Pensate, allora, ad uno scenario improvvisamente diverso. Giornali-fotocopia, silenzio assoluto sulle inchieste, comunicazione post mortem di indagini e del loro esito. Senza contare la rilevanza sociale della questione. Un esempio è il caso Marrazzo, giornalista e politico al tempo stesso. Sul suo conto sono venute fuori circostanze che ne fanno sicuramente una vittima, ma che al contempo hanno disegnato i tratti di un personaggio (pubblico) totalmente diverso da quello che la gente immaginava. L’aver raccontato la sua vicenda ha cambiato il corso delle cose, rovesciando finanche gli assetti politici in una regione cruciale come il Lazio. Si dirà che a risentirne è stata soprattutto la vita del diretto interessato. Sarà anche così, ma è evidente che il bene supremo è rappresentato dalla verità e dal dovere di informare.
I giornalisti quando informano lettori, internauti, ascoltatori e telespettatori non fanno gli eroi. Svolgono semplicemente la funzione per la quale sono chiamati a svolgere il loro lavoro. E chi li legge, li ascolta e li guarda non fa altro che esercitare il sacrosanto diritto di informarsi liberamente. E invece nel nostro Paese il più semplice dei ragionamenti si sta trasformando in eresia.

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