Trentadue anni (e un giorno) fa la storia del calcio cambiò. Il 22 giugno del 1986, allo stadio Azteca di Città del Messico, Diego Maradona mise in ginocchio l’Inghilterra nei quarti di finale dei Mondiali. Prima segnò con “la Mano de Dios” beffando arbitro e avversari (all’epoca niente Var), poi seminò in dribbling praticamente tutti gli inglesi mettendo la firma su quello che è unanimemente considerato “il gol del secolo”. Maradona vinse quel Mondiale e alzò la coppa, battendo i tedeschi in finale. Undici mesi più in là, Dieguito avrebbe vinto il primo storico scudetto del Napoli.
Trentadue anni dopo, l’Argentina vive un vero e proprio incubo sportivo. Che ha il volto turbato di Messi e i tatuaggi tribali di Sampaoli come sinistre icone. Il crollo contro la Croazia, peraltro una signora squadra, è il punto più basso della storia recente dell’Albiceleste. E forse della carriera di un fuoriclasse come Messi. Che finora ha vissuto in nazionale con un fardello insopportabile sulle spalle: il paragone con Maradona. Non sembri un paradosso, ma la sconfitta con i croati potrebbe rappresentare una liberazione per Leo. La cui classe e cifra calcistica non è mai stata in discussione. Discutibile semmai è chi, in questi anni, ha accostato i due in una gara senza senso. Maradona ha scritto la Storia. Da solo. Messi l’ha letta. E spesso in compagnia.
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Articolo pubblicato dai quotidiani locali del Gruppo Gedi il 23 giugno 2018
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