COVERCIANO I conti non tornano. Manca qualcosa nel bilancio profitti e perdite dell’Italia di Mancini. Il grande assente è il gol, troppo spesso latitante nel libro mastro della Nazionale. La notte di Genova, finita con dei fischi fuori ordinanza, consegna più dubbi che certezze, anche se le cose buone da segnare in bella copia alimentano un sommesso ottimismo.
Il cittì ha le idee molto chiare, in realtà, al di là dei continui cambiamenti. La strada è quella del gioco, della manovra. Filosofia che Mancini applica a prescindere, così come dimostrato anche contro l’Ucraina. Chiede tanto soprattutto ai più talentuosi. Un esempio è quanto prescritto a Insigne, Bernardeschi e Chiesa: fare continuo movimento per far saltare qualsiasi punto di riferimento agli avversari, utilizzando non più di una trentina di metri di campo. Roba che per farla bene devi applicarti, studiare, allenarti. Ecco, uno dei limiti di questa Nazionale è quello di voler fare cose da club più che da selezione.
Un discorso simile vale per il centrocampo, dove la catena Jorginho-Verratti-Barella diventa fatale per il pescarese del Psg, spesso sovrapposto all’italobrasiliano che però ha gamba e quindi spicca di più. Barella, invece, ha tenuto di più la posizione da bravo esordiente, svolgendo il compito con il giusto impeto e mettendoci quella qualità che magari ti saresti aspettata da Verratti.
Insomma, la prima mezz’ora di Italia-Ucraina è un discreto esempio di buon calcio giocato, tenendo doverosamente conto però del contesto e del valore degli avversari. Con tutto il rispetto, ci mancherebbe.
Mancini però sa che senza uno che fa gol non ne vinci manco una e che il bel gioco, in tempi magri come questi per gli azzurri, è un complemento. E proprio attorno all’assenza in formazione di un centravanti si moltiplicano i dubbi su questa Italia.
Verrebbe da pensare che più che una scelta si possa trattare di una conseguenza. Nell’ordine Mancini ha dovuto affrontare l’ennesimo flop di Balotelli, la scarsa forma di Belotti (che nel Toro di Mazzarri gioca lontano dalla porta), i recenti acciacchi di Zaza e Cutrone e via di questo passo. Non puoi però pretendere da uno come Chiesa, fin troppo scintillante nella partenza a tutto gas di mercoledì sera contro l’Ucraina, che faccia movimento, crei spazi, porti palla e serva assist: sotto porta e in fase di finalizzazione arriva con la lingua penzoloni e privo della necessaria lucidità.
Stesso discorso quando entra Immobile che, quando gioca in Nazionale, si trasforma in oggetto misterioso. Con lui al centro Chiesa (o chi altro sia) deve spostarsi a destra. È successo anche l’altra sera a Genova e da quel preciso momento l’Italia ha perso l’ultimo residuo di brillantezza. Il vero jolly che meglio si adatta a questa situazione tattica (che verrà riproposta anche domenica contro la Polonia) è Federico Bernardeschi: alla Juve ha imparato (stando fuori per lunghi periodi all’inizio della sua avventura in bianconero) che se sai far tutto giochi. Giusto puntare su di lui.
L’Italia non vince da cinque gare e addirittura, in match ufficiali, da un anno esatto (9 ottobre 2017, 1-0 in casa dell’Albania, qualificazioni ai Mondiali). È il momento di cambiare marcia, pur rispettando la filosofia tattica di Mancini. Gli altri fanno sul serio anche in Nations League: ieri sera il Portogallo ha ribaltato la Polonia, vincendo 3-2 a Chorzow. Domenica contro i polacchi è uno spareggio: perdendo retrocediamo. Serve salvare la pelle per continuare a credere che questa Italia a metà possa avere un futuro.
Articolo pubblicato dai giornali locali del Gruppo Gedi venerdì 12 ottobre 2018
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