Nel cuore di Napoli, Sala Assoli si dimostra ancora una volta uno spazio aperto ad un teatro ricercato e sperimentale.
Non domandarmi di me, Marta mia aveva debuttato nel luglio del 2019 nell’ambito del Napoli Teatro Festival, già lasciando il pubblico soddisfatto.
Scritto da Katia Ippaso, giornalista e scrittrice, appassionata di Pirandello, forse in particolare del secondo Pirandello, quello che succede a Sei personaggi in cerca d’autore, e diretto da Arturo Armone Caruso.
Katia Ippaso parte da un’attenta lettura e da una coinvolta analisi effettuate sulle lettere scambiate tra Marta Abba, prima attrice di Pirandello, interpretata da Elena Arvigo, e il suo Maestro, è questo il modo in cui la protagonista gli si riferisce.
Siamo in un tempo ed uno spazio ben precisi: 10 dicembre 1936, New York.
Marta si trova nel suo camerino, ha appena concluso uno spettacolo al Plymouth Theatre di Broadway. Non è stata una recita come le altre, non è stata facile. Dopo aver appreso la notizia, Marta è salita sul palco e ha annunciato al pubblico la morte di uno dei più grandi scrittori e drammaturghi italiani, nonché suo maestro, Luigi Pirandello.
Un’ora di emozionanti ricordi, dal primo incontro tra i due, quando l’attrice era ancora giovane e inesperta, fino alla stesura de I giganti della montagna, scritto appositamente per lei e rimasto incompiuto.
Così viene omaggiata una delle figure più importanti della storia del teatro, vengono ripercorse tappe fondamentali della sua opera, viene ricordato in tutta la sua vitalità e genialità.
Ma soprattutto viene messo sotto i riflettori il difficile percorso di affermazione di una donna, di una donna attrice. Una vita dedicata all’arte e all’amore per la recitazione.
Adorata dal pubblico, ma anche spesso criticata, a quasi dieci anni di distanza dalla grande svolta del debutto con Pirandello, Marta è riuscita ad arrivare proprio dove l’aveva sempre immaginata il suo Maestro: protagonista su uno dei più importanti palcoscenici del mondo dello spettacolo.
Sono numerosi i pettegolezzi e le leggende nate nel corso del tempo attorno alla coppia Abba-Pirandello. Spesso si parla di un rapporto passionale o di un’attrazione folle da parte di lui non ricambiata. Ci sono molti punti di vista e probabilmente la verità non la conosceremo mai fino in fondo, ma forse non ci deve interessare più di tanto perché quello che viene messo in scena e sì un grande amore, ma un amore tutto artistico e professionale.
Marta ama Pirandello, lo ama nelle vesti di suo Maestro, ama ciò che ha scritto e i ruoli che le ha regalato, che l’hanno formata, ancora, in quanto attrice e in quanto donna.
Ciò che dà vita alle parole e alle intenzioni della Ipasso è la meravigliosa interpretazione di Elena Arvigo. Un approccio recitativo a tratti spiazzante, per nulla banale, dettagliatamente studiato, ma lontano da un certo naturalismo. In un vestito elegante ma indossato con sciatteria, imitando una qualsiasi donna intenta a spogliarsi dopo una faticosa serata, con la zip aperta sulla schiena, i piedi scalzi e un viso sporcato dal trucco sciolto, la protagonista colpisce lo spettatore con tutto il dolore e l’alienazione del lutto, ma anche con l’amore e la gioia che alcuni ricordi le fanno emergere.
Interpretare una delle attrici più famose del teatro italiano e internazionale del Novecento non è di certo una sfida di facile portata e l’Arvigo riesce trionfalmente a portarla a compimento.
Insomma non credo ci possa essere modo migliore per provare a immaginare e rappresentare la condizione ed i sentimenti di Marta Abba in quella serata di dicembre del 1936.
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